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Manovra: salta aumento stipendi ministri, poi arriva il rimborso

Si è infuriata, Giorgia Meloni, per la presenza, in manovra, della norma che riconosce l’aumento di stipendio ai ministri non parlamentari. Dopo ore di stallo, aveva fatto intervenire il ministro della Difesa, Guido Crosetto, per chiedere il ritiro del provvedimento. Obiettivo solo in parte raggiunto: dopo ore di sospensione dei lavori della commissione, infatti, il testo è stato riformulato (per ora) dai relatori.

Nella norma resta solo un fondo da 500 mila euro per il rimborso delle spese di trasferta dei ministri non eletti. In particolare la norma prevede che i ministri e i sottosegretari non parlamentari e non residenti a Roma “hanno il diritto al rimborso delle spese di trasferta per l’espletamento delle proprie funzioni”.

Per questo scopo viene istituito dal 2025 un fondo da 500mila euro presso la Presidenza del Consiglio, le cui risorse sono destinate alle amministrazioni interessate con un Dpcm su proposta del ministro dell’Economia. Modificata anche la cosiddetta norma “anti-Renzi”, che era contenuta nello stesso emendamento: parlamentari e presidenti di Regione potranno ricevere compensi, contributi o prestazioni da soggetti pubblici o privati non aventi sede operative nell’Unione europea o nello spazio europeo, solo con autorizzazione dell’ente di appartenenza. E comunque non potranno essere superiori a 100.000 euro l’anno. Nell’ultima formulazione sparisce il divieto di ricevere compensi dall’estero per i membri del governo non parlamentari. Adesso i nuovi emendamenti dovranno passare al voto della commissione e non si escludono altre sorprese. 

Raccontano che alle due di notte di martedì 17 dicembre 2024, nella maggioranza ancora si discuteva del tema dell’aumento degli stipendi degli esponenti del governo non eletti. Il relatore di Noi moderati, Saverio Romano, ha cercato di difendere il principio, manifestando perplessità sulla riformulazione. Ma l’indicazione di fare marcia indietro, arrivata dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, su input – raccontano nella maggioranza, della premier Giorgia Meloni – era già arrivata.

Si è dovuto superare altre questioni tecniche, perchè la norma era legata a quella ribattezza anti-Renzi, anche questa corretta escludendo dal novero della stretta sulle consulenze fuori dai nostri confini i ministri e gli italiani all’estero.

Ma lo scontro maggiore riguardava la misura che era stata introdotta sugli stipendi di ministri e sottosegretari che non sono seduti sui banchi del Parlamento. Riferiscono che in particolare qualche sottosegretario, nei mesi scorsi, si era lamentato per la mancanza di coperture economiche idonee alla propria funzione.

“I sottosegretari spesso sono costretti a cambiare aereo, perdono soldi. Non hanno la diaria se non rimangono a Roma quindici giorni”, spiega un membro del governo. Nell’esecutivo si fa ‘mea culpa’ sul metodo adottato.

Occorreva – il ragionamento – gestire la partita in modo diverso, evitando per esempio di inserire nel testo in maniera specifica l’equiparazione dei ministri ai parlamentari. Ma nel principio il governo difende a spada tratta il principio. La soluzione escogitata e’ stata quella del “rimborso delle spese di trasferta per l’espletamento delle proprie funzioni”, per questo motivo e’ stato istituito presso la presidenza del consiglio un fondo con una dotazione di 500.000 euro annui dal 2025. Ma la battaglia politica continua: “E’ una finta retromarcia. Il reddito di ‘ministranza’ rimane”, attaccano i pentastellati. Con l’esecutivo che parla apertamente di demagogia.

“Metteremo – questa la battuta ironica di un esponente dell’esecutivo – un tetto anche alle consulenze dei Cinque stelle che si permettono di pagare 300mila euro un ex comico…”. “Abbassiamo lo stipendio dei parlamentari”, osserva il presidente del Senato, Ignazio La Russa.

La temperatura sulla legge di bilancio è destinata a salire. Malumori ci sono anche nella maggioranza perche’ – osserva uno dei ‘big’ delle forze politiche che sostengono l’esecutivo – “nel momento stesso in cui si era inserita questa norma bisognava difenderla ed evitare una figuraccia”.

Sul tavolo delle trattative nella notte anche il tema delle concessioni della rete elettrica (si va verso una riduzione della proroga da 40 a 20 anni, ma si attenderebbe il timbro dell’Europa) e di quelle autostradali (è saltato l’aumento delle tariffe dell’1,8%).


Sandro Bennucci

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