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Canto degli Italiani (inno di Mameli): sparito il sì dopo il “siam pronti alla morte”. C’è chi storce il naso

Fanfara dei Bersaglieri
Fanfara dei Bersaglieri (Foto d’archivio)

Nel “Canto degli italiani”, che conosciamo meglio come “Inno di Mameli”, il nostro inno nazionale, dopo il ‘Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò’ non si dovrà più gridare ‘sì’. Quella sillaba, che spesso dà la carica agli azzurri dello sport, non si potrà gridare quando l’Inno nazionale sarà eseguito “in occasione di eventi e cerimonie militari di rilevanza istituzionale”. È quanto disposto dallo Stato maggiore della Difesa a partire dal 2 dicembre 2025.

Nel documento, il divieto è chiaro: “Ogni qual volta venga eseguito ‘Il Canto degli italiani’ nella versione cantata non dovrà essere pronunciato il sì finale”. Nel testo si chiede di “dare la massima diffusione” della disposizione e si fa riferimento al decreto del presidente della Repubblica emanato lo scorso 14 marzo, il cui schema è stato approvato nello stesso Consiglio dei ministri su proposta della premier Giorgia Meloni. Nell’articolo 2 del decreto, che fissa “le modalità di esecuzione”, si prevede che l’Inno sia “eseguito ripetendo due volte di seguito le prime due quartine e due volte di seguito il ritornello del testo di Goffredo Mameli, come previsto dallo spartito originale di Michele Novaro”.

Parole chiare, che però danno vita a una disputa filologica. Il testo scritto da Mameli il 10 settembre 1847 fu musicato da Novaro il 24 novembre dello stesso anno. Nel testo autografato di Mameli, pubblicato nel sito del governo, il ‘sì’ finale non c’è. Compare però nello spartito musicale di Novaro, anche questo autografato. La disposizione dello Stato maggiore sembra così dare una risposta a questa divergenza. E un’indicazione della linea del Colle si trova anche nello stesso sito del Quirinale, in cui si sceglie la versione dell’Inno cantata nel 1961 dal tenore Mario Del Monaco. Dove al ‘Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò’ non segue nessun ‘sì’, ma solo musica.

Quel ‘sì’, che si può leggere come una risposta energica al ‘Siam pronti alla morte’, è già stato oggetto di un siparietto ai tempi del governo Berlusconi IV. L’occasione è il congresso fondativo del Popolo delle libertà. In sala risuona l’Inno di Mameli, ma sul ‘Siamo pronti alla morte” Berlusconi risponde gestualmente “così, così”. Sorride. Poi con Meloni, allora ministra della Gioventù, in piedi al suo fianco, esclamano insieme: ‘Sì’.

Ma è giusto togliere quel “sì” che dava la carica in fondo alla strofa più cantata dell’Inno? Ciro Visco, Maestro del coro dell’Opera di Roma commenta: “Quel sì nello spartito di Michele Novaro c’è, anche se non c’è nei versi di Goffredo Mameli. Però mi sembra un problema secondario. Intanto perché l’Inno, a volerlo eseguire integralmente, ha un testo che non finisce più, sono cinque strofe, e sfido chiunque a ricordarsele tutte. E sono parole bellicose, auliche, retoriche, l’elmo di Scipio, la chioma da porgere, la schiava di Roma, non è che un ‘sì’ in più o in meno faccia tutta questa differenza. Certamente non è proprio un Inno alla pace, invoca la guerra e le armi”.

“Ricordo – aggiunge il maestro Visco – che al Carlo Felice lo eseguimmo per una volta tutto, e qualcuno storse il naso per una delle strofe, non ricordo più quale, che pareva troppo ‘forte’. Bisogna contestualizzare: l’Inno di Mameli è figlio del suo tempo, di un periodo storico che non è il nostro. Di sicuro non è un ‘sì’ a cambiarne la sostanza”. “Magari – prosegue il maestro – non è proprio musica bellissima, ma che importa? Come dicevo: funziona. E poi la musica può essere bella o brutta, ma anche il contrario. Dipende dall’approccio, dal contesto, dall’esecuzione e da mille altri fattori”.

Qual è l’Inno nazionale più bello del mondo? “A questo non so rispondere – allarga le braccia il maestro – L’Inno più bello è quello del tuo Paese. Quindi sì, rispondo: il nostro”.


Sandro Bennucci

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