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Dirigenza pubblica: la Corte Costituzionale boccia la riforma Renzi – Madia. Figuraccia sesquipedale del governo

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ROMA – Altra tegola per il rottamatore e la sua ministra Marianna Madia. Che speravano di aver definitivamente risolto la questione della riforma della dirigenza pubblica prima del voto referendario. Ci si è messa di mezzo però la Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità di quattro articoli della riforma, nella parte in cui è previsto che i decreti attuativi siano assunti previo parere anziché previa intesa nella Conferenza unificata Stato Regioni. Segno che le riforme raffazzonate dai politici e dagli esperti renziani, come quella che dovremo votare il 4 dicembre, possono creare gravi vulnus all’ordinamento per spianare la strada, come in questo caso, all’aspirazione del premier di comandare su tutti e su tutto .

Tra gli articoli dichiarati illegittimi, c’è anche quello che riguarda la riforma della dirigenza pubblica, il cui decreto attuativo è stato approvato proprio ieri dal consiglio dei ministri. La questione su questo punto, è molto spinosa. Il decreto è stato approvato dal governo senza aver raggiunto nessuna intesa con le Regioni. Con la Consulta che ha dichiarato illegittima la legge madre, se venisse pubblicato in Gazzetta potrebbe essere immediatamente impugnato e dunque dichiarato esso stesso incostituzionale. A complicare ulteriormente il quadro, è la circostanza che il termine ultimo per l’esercizio della delega sulla dirigenza scadrà tra due giorni, il 27 novembre.

Gli altri articoli censurati dalla Corte sono quelli sulla riorganizzazione delle società partecipate, sulla riforma dei servizi pubblici locali (il cui decreto è stato definitivamente approvato ieri), e la riforma del pubblico impiego, la cui delega sarà esercitata dal governo entro il prossimo mese di febbraio.

La pronuncia della Consulta arriva a un anno e qualche mese dall”entrata in vigore della legge Madia, il ricorso della Regione Vento era stato presentato infatti nell’ottobre dello scorso anno. Per i decreti che sono già in circolazione si potrebbe intervenire con dei correttivi, che recepirebbero gli accordi da raggiungere con le Regioni. Lavoro che potrebbe risultare poi non così complesso, visto che i decreti in questione hanno in buona parte assorbito le osservazioni della Conferenza unificata. Per quelli che devono venire, e stiamo parlando del Testo Unico sul pubblico impiego, invece i tempi per adeguarsi alla sentenza ci sono (fino a febbraio). Tuttavia il rischio caos non manca.

Sulla questione è intervenuto anche il premier Matteo Renzi. «Oggi, ha detto, la Consulta ha dichiarato parzialmente illegittima la norma sui dirigenti perchè non abbiamo coinvolto le Regioni. È un paese in cui siamo bloccati». La decisione, del resto, è arrivata alla vigilia del voto costituzionale che, in caso di vittoria del sì, modificherebbe anche il titolo V della Carta, dando al governo centrale una clausola di supremazia sulle Regioni, in modo da evitare inciampi.

Le reazioni dal mondo politico non si fanno attendere: «Riforma fallita, fallito @matteorenzi», scrive via Twitter il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta. «E’ impensabile che ci sia un esecutivo che non è in grado di scrivere norme di legge», commenta il M5s. Di altro parere la senatrice Pd, Linda Lanzillotta, «così il cambiamento non si farà mai». Ma non si può infrangere la legge per il solo gusto di cambiare, ricordiamocene anche il 4 dicembre.

 

 

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Paolo Padoin

Già Prefetto di Firenze Mail

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