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La cura Renzi e la medicina per il Pd

E il quinto giorno, alla fine, parlò. Non poteva durare ulteriormente il silenzio di Matteo Renzi sullo psicodramma che sta colpendo la sinistra italiana: un’elezione vinta in partenza finita con “il primo posto ma non la vittoria”, come ha riconosciuto il candidato premier Pierluigi Bersani, e la tendenza a un’alleanza Pd-grillini che all’inizio faceva sorridere e ora fa preoccupare il Paese e non solo.

Da una parte ci sono i riottosi seguaci dell’ex comico, divisi in mille rivoli viste le mille estrazioni, dall’altra ci sono i post-comunisti che avevano appena finito di digerire il supporto a Mario Monti e ora se ne trovano davanti uno completamente opposto. Tanto era tedioso e misurato Monti, tanto è borioso ed estremista Grillo. Come se non bastasse, proprio l’alleanza Bersani-Monti prima dell’apertura delle urne sembrava quella più probabile in caso di vittoria mutilata da parte dei democrat.

In un contesto così confuso e deludente, è fin troppo facile per il sindaco di Firenze sfilarsi ancor di più di quanto non abbia fatto finora e respingere al mittente ogni ipotesi di accordo con i grillini, rivendicando di aver portato alle primarie i temi cari al Movimento 5 stelle.

Sulla E-News questa volta gli accenti sono soft, del resto i toni barricaderi li sta usando Grillo e difficilmente è possibile superarli, ma la sostanza non cambia: Bersani ha sbagliato tutto e io ne resto fuori, spiega Renzi. Lo aveva già detto subito dopo le primarie. Lo ripete adesso. E lo fa mentre la “sua” base ne invoca il ritorno, su Facebook, Twitter, sui siti e non solo.

Ma il “Renzi ora pensaci tu” potrebbe davvero essere la medicina per la situazione del Pd? Impossibile fare la storia con i se (se avesse vinto le primarie, se il Pd fosse un partito più sganciato dai post-comunisti etc.), però è consentito dubitare di questo nuovo dogma, semplicemente vedendo come si è comportata la stessa base renziana e come si è comportato Renzi in oltre dieci anni di politica, da quando era segretario della Margherita a quando è diventato sindaco, passando dai suoi cinque anni in Provincia.

Sul piano amministrativo basta ricordare le giravolte sulla nuova pista dell’aeroporto (prima invocata a gran voce e poi dimenticata), sulla stazione Tav (prima firmata poi quasi disconosciuta), sugli “enti inutili” (da presidente della provincia li difendeva poi si è detto pronto a cancellarli).

Sul piano politico, le incognite sono anche maggiori. Se Renzi fosse così affezionato al suo partito perché la sua “base” e la sua macchina da guerra non è stata messa a disposizione del Pd nelle elezioni vere dopo le primarie? Se Renzi fosse così affezionato al Pd perché una buona parte dei suoi elettori alle primarie se ne sono andati con Monti e addirittura con Berlusconi? Se Renzi fosse così affezionato al suo partito perché resta comunque registrato dal notaio una lista che porta il suo nome?

Il Pd è gravemente malato e Bersani è un leader mediocre (aver concesso le primarie quando le regole gli assegnavano di diritto la candidatura a premier lo ha dimostrato prima di ogni risultato elettorale), ma invocare un leader che non condivide il passato con quel partito e che sarebbe pronto a barattare il suo futuro per il proprio potrebbe non essere la medicina giusta.

elezioni 2013, grillo, renzi

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