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Tobin tax, chi era costui?

La Borsa Valori di Milano (foto Giovanni Dall'Orto)
La Borsa Valori di Milano (foto Giovanni Dall’Orto)

FIRENZE – Introdotta lo scorso anno dalla legge di stabilità, la nuova imposta è appena partita dal 1° marzo e la prima scadenza sarà il 16 luglio prossimo. Chiunque In Italia compra azioni italiane viene tassato allo 0,12% (0,10% nel prossimo anno) o allo 0,22% (0,20% nel 2014) se l’acquisto avviene al di fuori della Borsa.

È la “Tobin tax”, dal nome del premio Nobel per l’economia James Tobin, che nel 1972 – per stabilizzare i mercati – teorizzò una tassa che colpisse tutte le transazioni valutarie. Unica l’aliquota, che doveva oscillare tra lo 0,05 % e l’1%.

Avrebbe dovuto essere una tassa globale, da applicare in tutto il mondo ai mercati finanziari, visto che nessun paese avrebbe potuto imporla da solo, senza vedere i propri capitali spostarsi altrove. Il ricavato avrebbe potuto generare mezzi di sostegno alla comunità internazionale.

Per questo la Tobin tax é stata nel tempo oggetto di ampio dibattito tra gli economisti, fino a diventare una pietra miliare del movimento antiglobalizzazione e della lotta al libero mercato. Ma é stato lo stesso Tobin, scomparso nel 2002, a sconfessare questa interpretazione, prendendo le distanze dal movimento.

La nuova norma, ora operante in Italia, della teoria accademica di Tobin conserva solo il nome. Intanto la sua area di applicazione è limitata al solo mercato azionario. Colpisce il trasferimento di azioni emesse da società residenti in Italia e le eventuali relative transazioni con prodotti derivati (contratti a termine, futures, warrants, opzioni e certificati).

Gli acquisti di titoli pubblici, obbligazioni e gli scambi valutari non ne saranno pertanto coinvolti.

Non solo, ma saranno escluse dal tributo anche le azioni di società con capitalizzazione media di borsa inferiore ai 500 milioni di euro: si parla di circa il 70 % di quelle oggi esistenti. Ne restano fuori anche le obbligazioni convertibili in azioni e quelle di partecipazione al debito. Le società emittenti dovranno tassativamente avere sede legale in Italia.

L’imposta è pari allo 0,12% del valore della transazione. Sale allo 0,22%, se la transazione azionaria stessa è fatta fuori dai mercati regolamentati. Essa sarà dovuta dai soggetti in favore dei quali avviene il trasferimento della proprietà dei titoli, indipendentemente dalla residenza e dal luogo di conclusione del contratto. Questa sarà assolta dalle banche o dai notai che intervengono nella formazione o nell’autentica degli atti, ma il contribuente resterà sempre coobbligato.

Sono esclusi dall’imposta i trasferimenti per successione o donazione, le obbligazioni, le azioni di nuova emissione o l’assegnazione di azioni di nuova emissione per piani di stock option e le operazioni di finanziamento tramite titoli.

Sono esentate, inoltre, le operazioni effettuate con l’Unione Europea e le istituzioni europee, la Bce, la Banca Europea per gli investimenti e le banche centrali degli Stati Uniti.

Il termine di versamento scade il giorno 16 del mese successivo a quello in cui sorge il presupposto d’imposta. Il primo versamento è previsto comunque entro il 16 luglio 2013. L’imposta, naturalmente, sarà indeducibile.

Gli introiti previsti dal governo sono di circa un miliardo di euro: sicuramente non sarà un aiuto al funzionamento delle Borse. In Svezia fu introdotta nel 1984 una tassa di questo genere, ma portò ad incassi inferiori del 75% di quanto preventivato per la diminuzione delle transazioni. Fu cancellata nel 1992.

Si tratta alla fine di un tributo distorsivo che rende più complesso il calcolo dell’ incidenza fiscale sui rendimenti e ancora più caotica la comparazione di investimenti di diversa natura. Non parte con le migliori premesse.



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