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Via dei Georgofili

Bomba dei Georgofili: «Così salvai mia madre, sepolta nelle macerie»

Strage via dei Georgofili
La bomba che distrusse via dei Georgofili era a pochi passi dagli Uffizi e da Palazzo Vecchio

«Sono vivo solo perché a quell’ora di notte stavo studiando e non ero a dormire. La mia camera da letto è sparita nel crollo del palazzo. Una fatalità e sarei finito anch’io sotto le macerie». Walter Ricoveri, ricercatore biologo all’università, abitava all’ultimo piano del palazzo all’angolo tra via Lambertesca e via dei Georgofili a Firenze in quella tragica notte del 27 maggio 1993, quando un furgone imbottito di tritolo fu fatto saltare in aria. Cinque i morti, quarantotto i feriti. Fu la strage dei Georgofili.

«Il mio palazzo fu tra quelli più lesionati. Io mi sono salvato per il rotto della cuffia. Eravamo due in casa, io e mia madre Olga di 78 anni, sofferente di cuore. In quel momento ero nella stanza più lontana dalla strada». Uno scoppio, un boato, il buio, la polvere, le urla. «Istintivamente in quell’inferno – racconta oggi Walter – pensai solo a cercare mia madre. Non la vedevo ma sentivo la sua voce che stava chiedendo aiuto. Era portatrice anche di un pacemaker, poteva succedere di tutto».

Walter Ricoveri
Walter Ricoveri

Walter avanza a tentoni nel buio, a piedi scalzi, senza gli occhiali persi nella confusione. Non c’è tempo per la paura. Non sa che davanti a lui c’è il vuoto, sa solo che c’è la voce di sua madre, rimasta sepolta sotto le pareti divisorie della sua camera e dal tetto che era crollato. «La cosa più importante era riuscire a trovarle la bocca. Non so ancora come ho fatto a farcela e a farle inghiottire una Trinitina. Poi la situazione si è un po’ calmata e abbiamo avuto la forza di attendere i soccorsi». In quei momenti si perde la cognizione del tempo ma l’importante è essere vivi e tenersi ancora per mano.

Olga viene ricoverata in ospedale dove rimane circa due settimane. «Ne uscì con una serie di polmoniti ricorrenti, che poi l’hanno portata alla morte dopo qualche anno. Nessuno mi toglie dalla mente che fu anche per causa dell’esplosione» dice oggi il figlio con voce ancora sofferta.

Walter viene portato anche lui in ospedale, ma si fa dimettere la notte stessa, quando un amico lo raggiunge e gli porta un vestito per togliersi il pigiama con cui aveva lasciato la casa sventrata in via dei Georgofili. «Andai a dormire qualche ora a casa sua, ma giá dal pomeriggio ero nel piazzale degli Uffizi, in una roulotte che qualcuno ci mise a disposizione. Fu lì che cominciai a fare un elenco di persone che quella notte potevano essere state colpite. Da quel pomeriggio del 27 maggio non mi sono più allontanato dai problemi della strage».

Oggi ha cambiato casa, ma non ha mai abbandonato gli abitanti di quelle strade.  Prima nell’ambito dell’«Associazione danneggiati di via Lambertesca», confluita poi nell’«Associazione dei familiari delle vittime di via dei Georgofili». Vent’anni di dubbi e di richieste di verità. Poche ancora le certezze.


Sandro Addario

Giornalista

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