Mori, lo Stato prima di tutto


Pensiamo di non essere lontano dal vero affermando che l’assoluzione di lunedì scorso con formula piena del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu – accusati di favoreggiamento aggravato verso Cosa Nostra per la mancata cattura di Bernardo Provenzano nel 1995 – è stata accolta con favore dall’opinione pubblica. Soprattutto tra coloro che credono nelle istituzioni e che sono consapevoli che, malgrado i tempi, vi sono ancora molti e autorevoli rappresentanti dello Stato orientati al dovere ed al limpido servizio alla cittadinanza. Una platea molto più estesa di quanto si pensi, complice il silenzio su chi quotidianamente svolge con cura e professionalità i propri impegni e si adopera per la saldezza dei nostri ordinamenti e per rendere un onesto ed indispensabile servizio alla comunità.
Intendiamoci. Le vicende giudiziarie di Mori, già comandante del Ros dei Carabinieri e quindi prefetto direttore del Sisde, non sono iniziate né finiranno con questo processo, giunto solo alla sentenza primo grado.
Ma la pronuncia del Tribunale di Palermo non è stata accompagnata da quei roboanti commenti del tipo “una sconfitta della giustizia”, oppure “siamo senza verità”, che sempre più di frequente si susseguono quando non si arriva alla condanna dell’imputato o quando la pena è troppo mite. Si tratta di un segnale importante.
È anche vero che non ci sono parenti da risarcire che, con un esito del genere, farebbero altrimenti sentire rumorosamente il loro dissenso. Ma pare proprio che il semplice cittadino, ma non solo, fatichi assai nell’intravedere in quell’alto ufficiale dei Carabinieri un ideatore o un interprete di strategie diverse da quelle ispirate dalla volontà di condurre una lotta tenace ad ogni forma di criminalità organizzata.
Una condanna di Mori avrebbe d’altro canto significato un giudizio rivolto ben al di là della persona. Uno dei funzionari tra quelli che maggiormente si sono distinti contro la mafia che evita consapevolmente di arrestare il massimo rappresentante del sodalizio criminale avrebbe ben potuto essere un colpo decisivo alla credibilità delle istituzioni. Un carabiniere, e quale carabiniere, che viola il giuramento, sarebbe stato una mazzata anche per l’Arma, che invece vede con merito confermata quell’immagine di compostezza e dedizione che la rendono affidabile agli occhi della popolazione.
La sentenza è anche apportatrice di rinnovata fiducia in tanti appartenenti alle forze di polizia. Quest’ultimi troppe volte sono esposti non tanto alle giuste verifiche su procedure ed eventi operativi che possono aver leso beni giuridici pubblici o privati, ma piuttosto al rischio di essere scaraventati per anni ed anni sugli schermi delle TV e sulle pagine dei giornali per motivi ben diversi dai risultati che hanno ottenuto nella difesa dal crimine, talvolta a fronte di grandi sacrifici personali.
Insomma per cosa verrà ricordato il generale Mori? Per l’accusa di aver favorito il più forte dei boss o per l’aver portato spallate risolutive alla mafia ed alla criminalità organizzata? Noi nutriamo pochi dubbi e riteniamo che nella travagliata storia di questi anni egli meriti, come tutti coloro che hanno dedicato la propri vita all’impegno contro le mafie, uno dei posti d’onore.