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Anna Banti

Anna Banti una scrittrice ritrovata

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Anna Banti

FIRENZE – Un bel Meridiano appena uscito, curato da Fausta Garavini (per molti anni docente di Letteratura francese nell’Ateneo fiorentino, studiosa di Montaigne e di letteratura occitana moderna tra i più autorevoli, nonché scrittrice lei stessa), riporta alla ribalta un’autrice per la verità un po’ dimenticata, Anna Banti. Impresa meritoria, quella della riproposta di testi ormai usciti dal circuito librario, perché davvero vale la pena di leggere (o rileggere) capolavori come Artemisia, La camicia bruciata, Un grido lacerante. Nata a Firenze da una famiglia d’origine calabrese, Lucia Lopresti – questo il vero nome della Banti – sposata col grande critico d’arte Roberto Longhi, era conosciutissima nella nostra città, dove diresse per molti anni la sezione letteraria della rivista Paragone, fondata dal marito. Di questa figura così particolare del nostro panorama letterario parliamo con la curatrice del volume.

Non è una scrittrice facile, Anna Banti. Anche dal punto di vista formale, la sua prosa ha talvolta un sentore d’antiquato, ed è certo molto lontana dal minimalismo stilistico oggi imperante. Eppure i suoi personaggi ti prendono ancora e ti affascinano. Quali sono, secondo te, gli aspetti più vivi e attuali della sua opera?

Non sempre la prosa di Anna Banti ha «un sentore d’antiquato». C’è talvolta una discreta mimesi del linguaggio d’epoca, quando si tratti di storie ambientate in altri tempi, vuoi nel Seicento (come nel romanzo Artemisia, la cui protagonista è la pittrice Artemisia Gentileschi) vuoi nel tardo Ottocento (come in alcuni racconti). Èvero però che la sua lingua è ricca, la sua scrittura alta, mai trasandata come purtroppo accade a molti pseudo-scrittori di oggi. Ritengo che la lettura di Anna Banti possa essere una buona scuola di stile…In ogni modo, la sua visione del mondo è molto attuale, nel senso che, in qualunque epoca siano collocate le sue storie, le situazioni e i temi che affronta sono tuttora attuali. Per questo i suoi personaggi sono vivi.

C’è nella nostra autrice un’indubbia predilezione per i personaggi femminili (che del resto è anche nelle tue corde: anche i tuoi romanzi e racconti sono incentrati su figure di donne variamente angosciate dal quotidiano male di vivere). E non manca un côté che potremmo definire femminista: niente a che vedere, naturalmente, con le rivendicazioni starnazzanti e volgari cui abbiamo assistito soprattutto negli anni immediatamente post ’68, ma insomma Anna Banti il problema della condizione femminile se lo pone, eccome. Come inquadreresti questo femminismo, pur elitario e direi quasi più cerebrale che uterino, della scrittrice? E quanto c’è di autobiografico nelle sue donne?

La Banti usava dire che quello che si scrive bisogna viverlo: la predilezione per i personaggi femminili da parte di una scrittrice è naturale, ed è naturale anche che chi scrive si rifletta nei suoi personaggi. Per quanto mi riguarda,vorrei precisare che in quattro dei miei sei romanzi (cinque pubblicati, il prossimo in corso di stampa) il protagonista è maschile, e nei miei racconti raccolti sotto il titolo Storie di donne ci sono anche personaggi maschili. Uomini e donne ovviamente interagiscono in qualsiasi storia, senza che si debba sempre parlare di femminismo. Per capire il particolare «femminismo» di Anna Banti (che condivido assolutamente) basta leggere l ‘Avviso al lettore in cui è presentataArtemisia Gentileschi : «Una delle prime donne che sostennero colle parole e colle opere il diritto al lavoro congeniale e a una parità di spirito fra i due sessi». Le donne, cioè, devono esser messe in condizione di sviluppare le proprie doti. Si tratta in sostanza delle «pari opportunità», ma la Banti non sarebbe certamente d’accordo sulle «quote rosa»: avendo avuto le stesse opportunità degli uomini, le donne devono poi accedere a certe posizioni in base alle loro competenze e capacità, non per una legge che obbliga a un equilibrio numerico fra i due sessi.

Come vedi i rapporti di Anna Banti con la comunità letteraria dei suoi tempi? Leggendola, si ha l’impressione di uno splendido isolamento. Come se lei seguisse solo il proprio pensiero e il filo delle proprie storie, infischiandosene di avanguardie, correnti e movimenti. Quali erano i suoi autori prediletti? E quali i contemporanei più stimati?

Anna Banti aveva un carattere schivo, non amava le mondanità letterarie, ma era addentro alla vita letteraria , non foss’altro a causa della rivista Paragone dove pubblicava gli scrittori più noti come i giovani ancora sconosciuti, e recensiva o faceva recensire i libri che uscivano. Sulle pagine di Paragone sono nati Cassola, Calvino, Fenoglio, Pasolini, Arbasino… Ma non amava i gruppi, le correnti, le marcature ideologiche (per esempio la collana dei «Gettoni» diretta da Vittorini), le avanguardie autoreferenziali. Fra gli autori del passato prediligeva Goldoni, Manzoni, Balzac, Proust, Colette. Fra i contemporanei Gadda, Pasolini, Testori, Bassani.

Per concludere, un po’ di gossip. Che ne pensi della leggendaria «cattiveria» che le si attribuiva? Io l’ho frequentata poco, ma quello cui ho assistito era persino peggio della leggenda metropolitana… Ricordo che una volta cadde nella conversazione, per puro caso, il nome di un noto intellettuale (non lo cito perché è ancora vivo). Lei subito colse l’occasione per bollarlo come «cretino». Però ho sempre avuto l’impressione che dietro l’implacabile fustigatrice («senza caritas» avrebbe detto Contini) di palloni gonfiati e di mediocri si nascondesse una donna con tante fragilità irrisolte. Tu, che l’hai conosciuta molto meglio, che idea ti sei fatta?

Non la direi fragile, anzi era molto tenace. Ma anche molto sensibile, e capace di reagire bruscamente se qualcosa urtava la sua sensibilità. Non conosceva l’ipocrisia, dunque si esprimeva con franchezza. Non sopportava il servilismo, l’ottusità, la volgarità, e in questi casi non faceva sconti. Ma era amabilissima con le persone che stimava e teneva molto alla fedeltà negli affetti.



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