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Franano le città: come salvare tesori unici al mondo

Le mura di Volterra franano
Le mura di Volterra franano

Il crollo dello sperone di roccia, a Volterra, è la spia di una situazione di grave rischio per tutto il patrimonio storico e archeologico nazionale, lasciato in balìa dell’erosione provocata dal tempo e delle infiltrazioni d’acqua. La devastazione di Pompei è giustamente in primo piano, ma io vorrei lanciare un allarme mirato sulla Toscana: che possiede mura antichissime, di città, di castelli e palazzi ora in grave pericolo. Nel senso che possono sbriciolarsi e rovinare giù com’è accaduto, appunto, nel centro storico di Volterra, se non saranno presi provvedimenti urgenti. Le nostre città mostrano i segni dei secoli che si portano addosso, non solo a causa della loro vetustà, ma soprattutto perché manca l’attenzione necessaria che avevano anticamente.

Il fenomeno erosivo, a Volterra, è attivo da secoli, tanto che nel suo progredire coinvolse anche parte di una necropoli etrusca e l’antica chiesa di San Giusto al Botro, che crollò definitivamente nella prima metà del Seicento. Si tratta di un fenomeno naturale, perché l’acqua piovana s’infiltra nelle sabbie su cui poggia la città, nella parte alta, finendo poi nelle argille sottostanti che si sfaldano. Dando vita alla tipica morfologia a balze che sono le caratteristica di Volterra. Si tratta di un fenomeno naturale, che porta all’arretramento delle sabbie che poggiano sulle argille. E questo dal tempo dei primi volterrani, ossia gli etruschi.

La pioggia prolungata dell’autunno-inverno 2013-2014 ha sicuramente allentato il terreno argilloso sottostante le pietre arenarie favorendo primi i dissesti eppoi crolli. Non solo Volterra è in questa situazione, ma anche gran parte degli antichi centri della Toscana meridionale risentono della stessa situazione. In molti casi, invece delle arenarie gialle tipo Volterra si trovano balze formate da rocce vulcaniche provenienti dal Monte Amiata che in sostanza è un grande vulcano spento.

Finora l’attenzione è sempre stata posta sulle frane che ostruivano soprattutto strade di campagna e centri rurali. Ora il problema investe le città e quindi il patrimonio storico e artistico. Bisogna intervenire con lavori di manutenzione preventiva, che possono avere un costo assai inferiore ai danni che l’abbandono e le infiltrazioni d’acqua riescono a causare. Un esempio? Quando disegnai il piano di bacino dell’Arno, nel 1999, calcolai in 30 mila miliardi di vecchie lire (15 miliardi di euro) il costo di un’altra alluvione come quella che, nel 1966, devastò Firenze e due terzi della Toscana. Viceversa, la realizzazione del piano di bacino, con le opere annesse e connesse, sarebbe costato 3 mila miliardi di vecchie lire (un miliardo e mezzo di euro). Il problema è tutto in queste cifre: credo sia meglio investire cifre anche importanti per salvaguardare il territorio e le ricchezze che custodisce invece di dover spendere, dopo, dieci volte di più e ritrovarsi davanti a cumuli di macerie.


Raffaello Nardi

già Ordinario di Geologia applicata
Università di Pisa
redazione@firenzepost.it

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