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Aeroporti toscani: è passato il Pit, il piano d’inutilità territoriale

L'aeroporto di Firenze
L’aeroporto di Firenze

Fine del  tormentone: il Pit è stato finalmente approvato dal Consiglio regionale. Anche se, in corso d’opera, cioè negli ultimi tre anni e mezzo, l’acronimo non ha più lo stesso significato. In principio voleva dire: Piano integrato territoriale. Oggi, alla luce della nuova situazione, deve intendersi: Piano d’inutilità territoriale.  E’ vero che si tratta di  un lavoro enorme, fatto di montagne di carta e di ore e ore di sedute sfibranti, con la consultazione di centinaia di persone  provenienti da quasi tutta la Toscana anche se si trattava di decidere di un pezzetto di Piana fiorentina. Ma è altrettanto vero che si è solo perso tempo: perché le due questioni fondamentali per le quali si è voluta la messinscena si sono risolte, o si risolveranno, al di fuori del Consiglio regionale.

Prima questione: la nascita della holding fra gli aeroporti di Firenze e Pisa è già una realtà, dal momento che un privato, Corporacion America del magnate armeno-argentino Eduardo Eurnekian, ha la maggioranza delle società, Adf e Sat, che gestiscono i due scali.  Non c’è bisogno, per decidere, di intese assembleari o accordi fra il pubblico che non conta più nulla e il privato che detiene i pacchetti azionari.

Seconda questione: la lunghezza della nuova pista di Peretola, vero argomento al centro di tutta la discussione, passa sopra la testa della Regione Toscana perché di competenza dell’Enac, l’Ente nazionale per l’aviazione civile. Che deve attenersi alle regole di sicurezza internazionali per rilasciare autorizzazioni e permessi. Vito Riggio, il presidente dell’Enac, si è sempre giustamente smarcato dalla polemica spicciola: sostenendo, in varie interviste a “FirenzePost”, che il piano nazionale degli aeroporti (che inserisce Firenze e Pisa, insieme, fra gli scali italiani della cosiddetta serie A) richiede una pista adeguata, verosimilmente di 2.400 e non di 2.000 metri. Significa che le raccomandazioni e le indicazioni del Pit valgono meno della carta sulla quale sono state scritte.

STORIA – La conclusione del Pit ci ha trovati cambiati. La vicenda cominciò nel febbraio 2011, una sera che, a Firenze, si giocava una partita infrasettimanale di campionato: Fiorentina-Inter.  La conferenza stampa  convocata all’improvviso dal presidente della Regione, Enrico Rossi, provocò qualche sconquasso nel lavoro delle redazioni.  Ma l’annuncio della holding fra Firenze e Pisa e l’allungamento della pista sembravano, nelle parole del governatore, cose semplici, facili: praticamente già fatte. Invece insorsero i sindaci della Piana:  soprattutto quelli di Sesto Fiorentino e Campi Bisenzio. Sindaci che, oggi, a distanza di oltre mille giorni  dal divampare della polemica, non sono più in carica. Così com’è diverso il quadro politico: al governo c’era Berlusconi, che ora non è più nemmeno Cavaliere. Il Pd era guidato da Bersani. Matteo Renzi era solo il primo cittadino di Firenze smanioso di rottamare e far carriera. Anche chi scrive, perdonate l’intrusione, non era direttore di FirenzePost, ma ancora capo redattore de “La Nazione”.

Da quella sera di febbraio ne è passata d’acqua sotto i ponti. E soprattutto ne sono stati spesi di soldi in riunioni e consultazioni. A che scopo? La prima risposta sarebbe: la politica aveva bisogno di dimostrare di aver potere. E di contare. Invece, paradossalmente, la storia si è chiusa con una dimostrazione d’impotenza proprio da parte della politica e dei suoi apparati. A cominciare dallo stesso Consiglio regionale: a che cosa serve, con i suoi riti e i suoi costi, se alla fine esprime un parere che non vale nulla?

PD – Chi ci ha rimesso di più, nel bailamme generale, è stato senza dubbio il Partito democratico. Che si è spaccato e stritolato fin da subito, ossia dalla famosa sera di Fiorentina-Inter, tanto da non riuscire più a ricompattarsi e finendo diviso, e perfino inviso a parte dei suoi iscritti, nella votazione della giornata finale, ossia mercoledì 16 luglio 2014. A voler essere pignoli, si potrebbe concludere che il presidente, Enrico Rossi, non ha più la maggioranza per governare perché il Pit è passato  con i voti determinanti di pezzi dell’opposizione. Ma c’è chi si sussurra che al Pd abbia fatto bene il gioco delle parti, per non scontentare nessuno. Un esempio? Fabrizio Mattei, ex sindaco di Prato, ha detto “no”, forse per dimostrare ai pratesi che il Pd, in città, è lui. E proprio lui ha accolto il malumore e le contrarietà del neo sindaco Biffoni voltando le spalle a Rossi. Stessa cosa si può dire per il sindaco di Pisa, Marco Filippeschi, che si è comportato da Don Chisciotte contro i mulini a vento nel tentativo di difendere il peso pubblico nella gestione dell’aeroporto di Pisa a colpi di ricorsi contro tutti. Mentre il gruppo privato investiva 70 milioni e acquisiva legittimamente la maggioranza.

Quanto potrà durare il teatrino? Dario Parrini, segretario regionale renziano, ha sempre tenuto un comportamento pilatesco: lasciando intendere che le fratture, in fondo, si aggiustano con un po’ di gesso. Il problema è che, in Toscana, il Pd guida le istituzioni,  e una vicenda come quella del Pit, ricca di contraccolpi che lasciano il segno,  rischia di far perdere al partito qualcosa di fondamentale: la credibilità.

 


Sandro Bennucci

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