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Università, Shangai mette KO gli atenei italiani

La Harvard University
La Harvard University

FIRENZE – Anche per il 2014, a metà agosto, sono usciti i risultati dell’Academic Ranking of World Universities (ARWU), ovvero della classifica delle 500 migliori università del mondo stilata dall’ateneo «Jao Tong» di Shangai, considerata la più autorevole tra le classifiche elaborate annualmente.

Nessun ateneo italiano rientra tra i migliori 150 in assoluto. Entro il 200° posto si trova  Bologna; qualche posizione più in basso (leggermente scese rispetto alla classifica dell’anno scorso) ci sono Milano, Padova, Pisa, Roma La Sapienza, Torino. Entro la 300a posizione si incontrano il Politecnico di Milano e l’Università di Firenze, mentre sono ancora più giù la Normale di Pisa, Milano Bicocca, Federico II di Napoli, Roma Tor Vergata. Soltanto sotto la posizione 400 si vedono l’Università Cattolica di Milano e gli atenei di Cagliari, Ferrara, Genova, Palermo, Parma, Pavia, Perugia e Trieste.

Nella classifica rientrano soltanto 21 università italiane. Quelle statunitensi sono 146, tra le quali svettano Harvard, Stanford e Massachusetts Insitute of Technology.

L’Italia si difende comunque in matematica. L’ARWU ha diffuso infatti anche la classifica delle 200 migliori università per lo studio della matematica e i nostri atenei sono ben 13. Milano e Torino le università migliori, in Italia, per la medicina. La tanto mitizzata Università Bocconi è assente nella classifica generale e rientra tra la posizione 101 e la 150 nella classifica settoriale per l’insegnamento dell’Economia.

Naturalmente, tra gli indicatori presi in esame, ci sono la qualità dell’insegnamento (sui cui criteri di valutazione molto ci sarebbe da discutere), delle facoltà (da noi abolite), della ricerca, oltre alla cosiddetta “performance” di ciascun istituto rispetto al numero degli iscritti.

Tra i criteri adottati per piazzare un ateneo in testa o in coda, rientrano inoltre la presenza di premi Nobel fra i professori e gli ex allievi, il numero di ricercatori maggiormente citati nelle loro discipline, il numero delle pubblicazioni sulle riviste specializzate, il numero dei professori presenti nell’Università. E già qui si vede che tutto è misurato su medicina, fisica, discipline economiche, con buona pace degli studi umanistici che nella vecchia Europa non dovrebbero essere di importanza del tutto secondaria. Già, commentando i risultati dell’ARWU 2012, la ministra dell’Istruzione francese osservava che in questo tipo di classifiche le scienze umane e sociali appaiono sempre postergate e che, anche in presenza di centri in cui si fa ricerca di livello eccellente, la lingua usata, il francese, «scientificamente una lingua morta», possa aver giocato per ridurne la reputazione scientifica internazionale. Se è lingua morta il francese, figuriamoci l’italiano…

Questo il commento del rettore di Pisa, Massimo Augello, nell’apprendere il risultato dell’ARWU 2014: «Il ranking di Shanghai dimostra che Pisa, in campo nazionale, conferma di essere ai primissimi posti della graduatoria e ribadisce la tradizione e la vitalità di alcuni suoi settori di punta, ma a livello generale, la classifica è frutto di un panorama internazionale dinamico e globalizzato, in cui guadagnano posizioni le università dei Paesi che continuano a investire nel settore». L’Italia, in questo senso, non si può dire che stia facendo molto. A metter KO davvero l’università italiana ci stanno pensando i governi dell’ultimo ventennio, tra riforme scellerate che scimmiottano i sistemi di Paesi dove contano solo le università private e politiche di rigore che escludono efficaci investimenti sull’istruzione. Non c’è bisogno di scomodare Shangai, per accorgersene.

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