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Ciclismo: la morte di Alfredo Martini. Correva con Coppi e Bartali. Da ct azzurro vinse 6 mondiali

Alfredo Martini, si è spento a 93 anni nella sua casa di Sesto Fiorentino
Alfredo Martini, si è spento a 93 anni nella sua casa di Sesto Fiorentino

ROMA – E’ morto l’ex ct azzurro del ciclismo, Alfredo Martini. Aveva 93 anni. A dare l’annuncio è il presidente della Federciclismo, Renato Di Rocco.  Martini ha corso la vita fino all’ultimo chilometro, spegnendosi stasera, 25 agosto 2014, nella sua casa di Sesto Fiorentino. Per tutti è sempre stato ‘il babbo’ del ciclismo, per molti ‘il ct’.

Sapevo che era quasi alla fine. Un comune amico, per Ferragosto, all’arrivo della Firenze-Viareggio, sul lungomare del Lido di Camaiore, mi aveva confidato:  “Alfredo è … arrivato”. La notizia della sua scomparsa equivale a un colpo al cuore anche per chi fa questo mestiere da una vita. Perché Alfredo non solo era il ciclismo: correva ai tempi di Bartali e Coppi. Aveva guidato tanti azzurri alla conquista del titolo mondiale. Ma Alfredo Martini era, soprattutto, un grande amico. Uno che, se ti vedeva passare davanti al negozio di bici, di Sesto, ti invitava, insieme a chi c’era, a bere un caffè. E a parlare: di ciclismo, di vita di tutti i giorni, di  politica. Prontissimo ogni volta che avevi bisogno, non solo di un’intervista, ma anche di un parere, di un’opinione, di un consiglio, gli potevi telefonare: anche di notte. Non si negava mai.

L’ultimo ricordo, personale e professionale, risale a un anno fa, quando Firenze si stava preparando a ospitare i Mondiali di ciclismo. I mondiali organizzati praticamente in suo onore. Alfredo era l’idolo, il totem, quello che ti poteva aiutare in qualsiasi servizio. Lavoravo ancora a “La Nazione” (erano gli ultimi spiccioli, gli ultimi mesi, dopo oltre 40 anni di servizio in via Paolieri) e avevo bisogno di fare un pezzo sul percorso, di scrivere della famosa, durissima salita di via Salviati,  fra via Faentina e via Bolognese. Dove poi, in effetti, si sarebbe praticamente decisa la corsa.  Era la salitona di un percorso che Martini aveva contribuito a tracciare per la federazione internazionale. Con grande pazienza, anche quella volta, Alfredo si mise a disposizione. O meglio: a farmi lezione. Grand’uomo! Capiva le esigenze del giornalista, così come comprendeva la gente comune. Ma soprattutto capiva i corridori. Sapeva essere un maestro, un consigliere, un babbo. Allo steso modo come, quando correva, sapeva essere un amico, un aiutante. Praticamente un gregario.

E’ vero che, non fu un Coppi o un Bartali, ma gareggiò con loro, segnando lo stesso pagine indelebili della storia del ciclismo italiano e mondiale. Immenso, invece, nella sua ultraventennale vita da tecnico azzurro. Il Giro che ricordava con più emozione era quello del ’46. In occasione del novantesimo compleanno raccontò: ”Parigi era bombardata, il Tour non si fece e allora tutti vennero in Italia. C’era la questione di Trieste, ma Vincenzo Torriani (patron storico del Giro ndr) e Cougnet vollero far passare lo stesso il Giro lì e gli americani la considerarono una provocazione. A Pieris lanciarono fiori e sassi. Molti corridori si ferirono, dopo ci furono sparatorie con i soldati di Tito e il gruppo si fermò, ma Torriani ne convinse 17, uno per squadra, a proseguire e a Trieste fu un trionfo. Anche se poi il Giro venne sospeso un giorno”.

Altri tempi, ma lo spirito di chi va in bici, per Alfredo Martini, è sempre stato lo stesso. Per ventitrè anni sull’ammiraglia da commissario tecnico azzurro, sei anni da direttore sportivo e tanti chilometri nelle gambe da atleta: Alfredo Martini ha lasciato il segno ovunque. Da ct, ruolo ricoperto dal 1975 al 1997 (ha lasciato il 18 novembre 1997), ha portato al successo mondiale sei atleti: Francesco Moser nel 1977 a San Cristobal (Venezuela), Giuseppe Saronni nel 1982 a Goodwood (Gran Bretagna), Moreno Argentin nel 1986 a Colorado Springs (Stati Uniti), Maurizio Fondriest nel 1988 a Renaix (Belgio), Gianni Bugno nel 1991 a Stoccarda (Germania) e nel 1992 a Benidorm (Spagna).

Fiorentino di Sesto, Martini può vantare cifre entusiasmanti: in 25 campionati del mondo, solo sei volte una maglia azzurra non è salita sul podio e oltre ai sei ori, Martini ha portato all’Italia 7 argenti (Moser 1976 Ostuni, Moser 1978 Nurburgring, G.B. Baronchelli 1980 Sallanches, Saronni 1981 Praga, Claudio Corti 1984 Barcellona, Argentin 1987 Villach, Chiappucci 1994 Agrigento) e 7 bronzi (Tino Conti 1976 Ostuni, Bitossi 1977 San Cristobal, Argentin 1985 Montello, Saronni 1986 Colorado S., Bugno 1990 Utsunomiya, Pantani 1995 Duitama, Bartoli 1991 Lugano).

Gli anni trionfali? Il 1977, con il primo posto di Moser e il terzo di Bitossi; e il 1986, con l’ oro di Argentin e il bronzo di Saronni.

Da corridore Martini vinse il Giro dell’Appennino nel 1947; il Giro del Piemonte nel 1950; una tappa al Giro d’Italia del 1950, anno in cui si piazzo’ terzo in classifica generale dietro Koblet e Bartali: in quell’ anno vesti’ la maglia rosa per una tappa. Ha vinto anche una tappa al Tour de Suisse 1951, concluso al terzo posto dietro a Kubler e Koblet.

Ma non posso concludere con un elenco, lungo e glorioso ma forse troppo freddo per un uomo come Martini. Che invece ebbe passioni forti, vere. Per il ciclismo e per la politica. Sempre con rispetto e lealtà. Ecco, in un’Italia in crisi, la scomparsa di Alfredo Martini ci rende ancora più poveri. Ma chi, come il soprascritto, ha avuto il privilegio di godere della sua amicizia  per tanti decenni non può che ringraziare il Cielo: è stata una fortuna,  una grande ricchezza, potergli parlare infinite volte, a quattr’occhi o al telefono. Ciao Alfredo. E grazie.

 

 

 

 

Alfredo Martini, ciclismo, Fausto Coppi, gino bartali


Sandro Bennucci

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