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Leopolda 5

Italia in pericolo: dopo il derby fratricida nel Pd, la Trojka può invadere il campo

Rischia di esplodere, il Pd, fino a mettere in pericolo l’Italia. Difficile incollare i cocci del partitone frantumato, dopo questo week end di fine ottobre. Un fine settimana scandito dagli slogan contro Matteo Renzi, saliti dal gran corteo romano della Cgil, dov’è stato annunciato lo sciopero generale, e segnato dai tavoli della Leopolda, dai quali è addirittura uscita la proposta (del finanziere Serra, fedelissimo del premier) di limitare il diritto di sciopero. Frase da repubblica delle banane, subito zittita, ma segnale chiaro della distanza fra due fazioni che, unite, hanno portato il presidente del consiglio a ottenere oltre il 40% alle elezioni europee. Ma anche due fazioni che, d’ora in avanti, faranno fatica a scambiarsi il saluto. Rosy Bindi, da piazza San Giovanni, ha lanciato strali contro la Leopolda e i leopoldini. Accapigliandosi, in diretta tv, con Debora Serracchiani, punta di diamante della maggioranza renziana del partito.

TROJKA – Direte: Renzi è fiducioso, tanto da proclamare di voler guidare il Paese fino al 2023. Ovvio: è arrivato fin qui esibendo tonnellate di ottimismo (finora poco più di quello…) e pare naturale che voglia continuare. Il problema è che non pensa di aver perso pezzi. Non si chiede se i parlamentari andati in piazza a strillare contro di lui, continueranno a votare, in Aula, provvedimenti contrari ai compagni di corteo che hanno sfilato con loro. Potreste aggiungere: fatti interni al Pd. Invece no. Sarebbe facile lasciare ai Dem la resa dei conti, se il Paese non fosse sull’orlo del baratro e non corresse un pericolo grave: quello di perdere un pezzo di sovranità a favore della Trojka (Unione Europea, Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale) capace d’intervenire d’autorità per imporre all’Italia una cura da cavallo, più rigida di quella toccata alla Grecia. A cominciare dalla prima botta: l’Iva al 25%. Addio rilancio dei consumi e dell’occupazione.

Perché ci siamo ridotti in queste condizioni? Renzi, grazie al favore elettorale e al Patto del Nazareno con Berlusconi, ha avuto la grande opportunità di riformare davvero Stato e istituzioni, ma non l’ha sfruttata in maniera equidistante. Dove ha sbagliato? Lasciandosi dettare l’agenda da Confindustria e da Marchionne (per esempio sull’articolo 18) e lasciando montare la protesta (talvolta strumentale) di chi ha ridato spazio e fiato alla sinistra, a Vendola e al movimento cinque stelle: pronto ad avventarsi sulla carcassa di quel che resterà del partitone frantumato.

RICETTA – Che cosa avrebbe dovuto fare Renzi? Tre cose, che ancora sarebbero possibili per imboccare la ripresa:

1) Tagliare profondamente la spesa pubblica, al centro e in periferia: ossia a Roma e nelle Regioni. Si può e si deve. Non esiste Paese con un numero così esorbitante di politici e di dipendenti pubblici e con competenze così frammentate, dove tutti emettono tasse e gabelle (perché anche i consorzi di bonifica devono imporre i propri bollettini?). E dove l’unica cosa sempre possibile è metter balzelli: il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, invece di sforbiciare Asl e poltrone continua a dire che, se il governo taglia, lui metterà super ticket sanitari. Ovviamente a carico di un ceto medio ormai spremuto e smunto.

2) Disboscare la burocrazia. Non si possono aspettare anni per aprire un banchino di frutta e verdura. Ricordo di aver visto sbiancare l’allora governatore della Toscana, Claudio Martini, durante un viaggio ufficiale (era il 2004 …) nella Silicon Valley, quando gli dissero che per aprire un’azienda capace di dar lavoro a qualche migliaio di persone, lì, sarebbe stata sufficiente qualche settimana. E che per la pratica bastava l’avvocato.

3) Abbassare il costo del lavoro (grazie al taglio della spesa pubblica) però senza far pagare il peso ai dipendenti con buste paga da fame. Perché se chi lavora non ha la certezza del posto e uno stipendio almeno dignitoso, i consumi non ripartiranno. Mai.

FRUSTA – Guardate che questa ricettina in tre punti non è un’invenzione da premio Nobel. O un’impresa difficile come la scalata del K2. Gli economisti assicurano che si può fare. Il problema è che, per realizzarla, bisogna per forza scontentare qualche potente lobby. Ma non c’è altra strada: se non si vuole veder arrivare la Trojka. Con forbici e frusta.


Sandro Bennucci

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