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Il Palazzo Budini Gattai fu la prima sede del Governo della Regione Toscana

Quando Gorbaciov ci disse che aveva dato soldi al Pci

Venticinque anni dopo la caduta del Muro, i grandi protagonisti di quei giorni, Helmut Kohl e Mikahil Gorbaciov, uomini capaci di cambiare la storia nel segno della democrazia, sono finiti in archivio. Ancora viventi. E nemmeno fra i ricordi meglio custoditi. Come capitò nel dopoguerra a Winston Churchill, l’uomo che contribuì a salvare la Gran Bretagna e l’Europa dal nazismo, anche l’ex cancelliere tedesco e l’ultimo segretario del partito comunista dell’Unione sovietica, hanno conosciuto il declino accompagnato perfino da schizzi di fango.

Kohl, il cui successo politico, riconosciuto da estimatori e avversari, è stato il modo sicuro e deciso con cui ha guidato il processo di riunificazione della Germania iniziato appunto con la caduta del Muro di Berlino, ha visto la sua eredità politica gravemente danneggiata da uno scandalo riguardante il finanziamento del suo partito, la Cdu, accusata di aver ricevuto fondi illegali sotto la sua leadership. Gorbaciov, grazie alla sua politica di riforme portate avanti con la Glasnost (trasparenza) e la Perestrojka (ricostruzione), avviò la fine della guerra fredda con gli Usa, arrestando la corsa agli armamenti ed evitando il rischio di un conflitto nucleare. La figura di Gorbaciov è normalmente vista in modo molto positivo in Occidente, mentre in Russia la sua immagine è vista con molto meno favore. Pesa a suo carico la dissoluzione dello stato sovietico, che ha avuto notevoli ripercussioni, anche economiche, per vasti strati della popolazione russa.

Ma alle biografie e ai commenti che segnano la biografia di questi giganti della politica mondiale, permettete che aggiunga un paio di pennellate personali: tutte mie. Li ho conosciuti e intervistati entrambi, per “La Nazione”, durante le loro visite a Firenze, qualche anno dopo la caduta del Muro. Kohl venne nel 1992 per incontrare Giuliano Amato, allora presidente del consiglio. Pranzai insieme a lui e alle delegazioni italiana e tedesca dal “Latini”. Apprezzò il prosciutto e la bistecca fiorentina. Ma ne ricavai l’impressione di un uomo tormentato per le vicende interne, in particolare per la difficoltà della Germania Est di marciare di pari passo con i più ricchi compatrioti dell’Ovest, guarda caso proprio dopo aver prestato il più grande servizio al Paese: la riunificazione. Dopo che la Germania era stata politicamente divisa alla fine della seconda guerra mondiale per punirla della follia nazista. Forse Kohl sapeva, e temeva, che il maggior successo avrebbe anche determinato l’avvio della parabola discendente.

Gorbaciov fu invitato a Firenze nel novembre 1994 per ritirare il Pegaso d’oro della Regione Toscana dall’allora presidente, Vannino Chiti, nella vecchia sede di Palazzo Budini Gattai, all’angolo fra via de’ Servi e piazza Santissima Annunziata. Nonostante qualche preoccupazione di Chiti, noi giornalisti ottenemmo la possibilità di fare qualche domanda a quell’ospite che fino a qualche anno prima era stato uno dei grandi protagonisti della politica mondiale. In pratica le domande furono tre: una di Stefano Fabbri dell’Ansa, una del sottoscritto per La Nazione e una di Carlo Bartoli per l’Agenzia Italia.

Devo riconoscere che Bartoli fu quello che andò più a fondo: infatti chiese a Gorbaciov se avesse mai sentito parlare di finanziamenti del Pcus al Pci. Vannino Chiti, padrone di casa, divenne bianco come un cencio.Ma Gorbaciov lo rincuorò con un sorriso, quasi a dire: “Tranquillo, non mi offendo”. E pacatamente rispose: “Si’ , ho sentito parlare di finanziamenti del Pcus al Pci. Dirò di più: qualche volta ho anche firmato. Ma qualcuno, in un certo periodo, per evitare che il Pci arrivasse al potere in modo democratico, ha speso 10 miliardi di dollari”. E mentre nel palazzo, dove non erano pochi gli ex comunisti passati al Pds, saliva la preoccupazione per quelle parole, Gorbaciov proseguì: “Non ci vedo niente di particolare: non dobbiamo essere ingenui, per me tutto è chiaro. Ci trovavamo in un mondo spaccato, con le ideologie che determinavano tutto. La disciplina dei blocchi era presente dappertutto”.

Nei giorni successivi si scatenò la bufera. Perfino la magistratura s’interessò alle affermazioni fiorentine dell’ex capo del Pcus. Poi la fiammata si spense. Io però capii che cosa significava per Gorbaciov la glasnost. E compresi che trasparenza e riforme, anche nel suo Paese, non erano apprezzate. Perché lui il cambiamento l’aveva voluto davvero, mentre in politica ha più successo il gattopardo: colui che vuol cambiare tutto per lasciare tutto come è. E gli esempi, anche attualissimi, non mancano.


Sandro Bennucci

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