Immigrazione: l’Europa rimanda in Italia ben 13.000 profughi. Il governo chieda di rivedere gli accordi
ROMA – Le associazioni umanitarie li chiamano dubliners: sono profughi soggetti ai regolamenti seguiti alla prima Convenzione di Dublino del 1990, in base ai quali lo Stato europeo competente per la decisione su una domanda d’asilo è quello in cui il richiedente ha messo piede per primo.
MIGRANTI – Sono oltre centomila migranti tratti in salvo secondo i dati ministro dell’Interno Angelino Alfano, nei 13 mesi dell`operazione Mare nostrum. In assenza di precise identificazioni si ipotizza che circa 50mila profughi siano migrati in altri Stati Ue. Incrociando i dati, si scopre che dal primo gennaio 2014 undici Paesi comunitari hanno inoltrato all’Italia 15.760 proposte di «riammissione passiva» di profughi rintracciati nel proprio territorio ma che sarebbero «di competenza» italiana.
RITORNI – Circa 13.300 sono state accolte, il che significa che altrettanti profughi (con treni da Austria, Svizzera, Francia o voli aerei da altri Paesi) sono già tornati in Italia. Sono uomini e donne (in qualche caso intere famiglie) scampati al conflitto che insanguina la Siria, afghani, eritrei, somali o di altre aree di crisi del pianeta, che avevano cercato riparo in nazioni Ue dove sapevano di poter contare su reti familiari o su un welfare più robusto. A rimandarci indietro più richiedenti asilo sono state le vicine Francia («9.542 proposte», circa 7.500 accolte), Austria («4.809», quasi 500 respinte) e Svizzera («1.282», quasi tutte accolte), che non è nella Ue ma aderisce agli accordi. Dalla Germania invece ne sono giunte solo «6» in undici mesi. Anche per quanto riguarda gli altri 7 Paesi respingitori i numeri sono esigui: 68 proposte di riammissione dalla Slovenia, 24 dalla Norvegia (extra Ue ma aderenti ai trattati), 18 dalla Svezia, 6 dalla Grecia, 3 dall’Inghilterra e 1 ciascuno da Belgio e Olanda.
PROCEDURE – Cosa accade ai richiedenti asilo che rientrano in Italia? Il 4 novembre la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, pronunciandosi sul caso Tarakhel (il rimpatrio verso l’Italia di una famiglia afghana di 8 persone) lo ha subordinato alla richiesta di garanzie (che i bambini siano assistiti in modo conforme alla loro età e che sia mantenuta l’unità della famiglia). Dopo quella vicenda, il ministero dell’Interno ha indicato alcuni centri (anche della rete Sprar) adeguati per tale accoglienza. A vagliare le pratiche è un ufficio del Ministero dell’Interno, detto appunto Dublino. E i vertici del Viminale starebbero pensando di rinforzarlo, nel caso in cui le riammissioni dovessero aumentare.
Questa rilevazione rafforza ancor di più l’esigenza che l’Unione europea approvi un sistema di ripartizione di coloro che entrano nello spazio europeo attraverso i confini del Mediterraneo, in modo da non penalizzare solamente il Paese oggetto degli sbarchi (in particolare l’Italia) che, in applicazione di questa convenzione deve continuare a sobbarcarsi il peso di accoglienza e assistenza di tutti i profughi che arrivano sulle nostre coste. Anche perché, come abbiamo visto, l’operazione europea Triton non ha provocato, finora, una diminuzione degli sbarchi.