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Terremoti e alluvioni: meglio ricostruire (e magari rubare…) piuttosto che prevenire

Telefoni intasati nelle scuole, intorno a mezzogiorno di questo venerdì 19 dicembre, da ricordare per la paura da terremoto. Centinaia di mamme e babbi con il cuore in gola, giustamente preoccupati. Magari dopo aver appena abbandonato uffici, negozi, fabbriche. Psicosi generale? Solo chi è molto giovane e non ha sentito tremare la terra in modo violento e devastante può chiamarla così. Personalmente, durante la mia carriera, ho inanellato tre ricordi scioccanti: Irpinia, Umbria, Abruzzo. Per settimane, dopo le case crollate e i funerali, ho sentito arrivare, soprattutto la notte, le famigerate scosse di assestamento. Qui, per fortuna, siamo lontani da quelle situazioni: ma è comprensibile il terrore negli occhi e la voce rotta dalla paura di chi vede spostarsi la scrivania o il divano o sente il rumore di cocci dei piatti malriposti nella credenza.

Firenze e la sua provincia, soprattutto il Chianti che si stende verso Siena, sono sotto il tiro di uno sciame sismico che può continuare giorni e giorni. Gli esperti parlano poco: si esprimono come la sfinge. Il motivo è ovvio: le conseguenze penali che scattarono, per alcuni di loro, dopo il disastro dell’Aquila. Ora anche chi potrebbe dare qualche indicazione più precisa resta prudente. Nessuno vuol diventare capro espiatorio. Spesso succede che, passata l’emergenza, ci si dimentica la paura e non ci si preoccupa di evitare nuovi rischi da calamità naturale. Per esempio, sono anni che si parla di rendere antisismici gli edifici pubblici, in particolare le scuole. L’amico, e ormai affiatato collega Paolo Padoin, ha un groppo in gola per l’esperienza che fece quand’era prefetto a Campobasso: la fine dei 25 bambini e della maestra di San Giuliano di Puglia, morti nel crollo della scuola. Un ricordo che non lo abbandonerà più. Seguendo l’attività della Regione Toscana, mi sono imbattuto molte volte nei progetti di messa in sicurezza di palazzine e palazzoni che ospitano le aule. Qualcosa dovrebbe essere stato fatto, soprattutto in Lunigiana e nelle altre zone ballerine. Ma tantissimo resta da fare. Servirebbe un piano nazionale, capace anche di rilanciare l’edilizia e l’occupazione. Ma non se ne fa nulla. La scusa? Mancano i soldi. Poi, semmai, si rinvia per anni l’apertura di un laboratorio o di una fabbrica di imprenditori privati perché manca un timbro (spesso solo quello) alla pratica per la prevenzione antisismica.

Così come, quasi mezzo secolo dalla grande alluvione (perdonate, è un chiodo fisso, ma serve continuare a batterlo …), Firenze e due terzi della Toscana si preparano a celebrare il 4 novembre 1966 nelle stesse condizioni di rischio di allora. Il problema? Sembra aderente alla realtà quello che si è letto in alcuni fascicoli giudiziari dopo le tragedie. La prevenzione non porta consensi, ma addirittura molti dissensi. Meglio pensare alle ricostruzioni. Non a caso c’è gente che ride e si frega le mani quando arrivano le notizie di disastri. Le macerie si trasformano in ricchi appalti. A Firenze e in Toscana abbiamo qualche esempio di segno diverso, addirittura virtuoso: dopo la bomba dei Georgofili vennero restituiti soldi allo Stato. Ma allora chi di dovere si dia una mossa.La strada giusta è la prevenzione non il rinvio perpetuo, magari rischiando davvero d’ingrassare chi lucra sulle tragedie. Non si può continuare a vivere con il cuore in gola. Se mamme e babbi sanno che le scuole sono foderate di materiale antisismico, possono telefonare senza affanno, senza la voce rotta dalla paura quando arriva lo sciame. O la magnitudo supera i 3.5.


Sandro Bennucci

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