Renzi: il flop del primo anno di governo. Ecco le promesse non mantenute

Un anno fa, il 14 febbraio 2014, l’esecutivo guidato da Enrico Letta, sfiduciato dalla direzione del Pd, si dimetteva lasciando spazio a Matteo Renzi, che pochi giorni dopo, il 17 febbraio, riceveva dal Quirinale l’incarico di formare il nuovo governo. Nel suo discorso per chiedere la fiducia al Parlamento Renzi disegnò le linee guida e i tempi della sua azione economica: un anno dopo non mancano le luci (poche) nè le ombre (molte). Ecco, nel dettaglio, punto per punto, una sorta di bilancio dei primi 12 mesi di misure economiche realizzate (si contano sulle dita di una mano) o annunciate (una vagonata). Ne abbiamo prese in esame 12: vediamole.
SEMESTRE EUROPEO – Era la grande sfida incoraggiata dell’ex presidente Napolitano, che ha sempre avuto il semestre europeo di presidenza italiana come totem per la gestione della politica interna e come scusa per mantenere in vita governi designati da lui e non nominati dal popolo. Renzi ha portato a casa solo la nomina di Federica Mogherini nel ruolo di Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza, teoricamente la più alta nomina governativa in Europa dopo la presidenza della Commissione e del Consiglio sebbene nell’attuale crisi russo-ucraina il suo ruolo sia apparso più che marginale. La battaglia sulla maggiore flessibilità si è risolta in un sostanziale pareggio: Bruxelles non ha accettato le richieste italiane di scorporare dal calcolo del deficit gli investimenti produttivi, chiedendo invece un minore aggiustamento del deficit strutturale (0,25% del Pil invece che 0,5%).
DEBITI P.A. – Sui debiti della Pubblica Amministrazione le promesse non sono state mantenute: al 30 ottobre 2014 erano stati pagati solo 32,5 sui 56 miliardi complessivamente stanziati dal governo Letta. Si segnalano ritardi soprattutto di carattere burocratico, in particolare nel settore sanitario.
SGRAVI FISCALI: FAVORI ALLE IMPRESE – Certo le imprese, specie quelle più grandi non possono dispiacersi del governo Renzi, e del resto la stessa Confindustria non ha mancato di sottolineare il proprio appoggio ad alcune scelte dell’esecutivo, Jobs act in primis. Gli imprenditori portano a casa il taglio dell’Irap e la detassazione sulle assunzioni.
DISSESTO IDROGEOLOGICO – Fra gli ambiti in cui il governo ha indiscutibilmente agito c’è quello relativo al dissesto idrogeologico. L’apposita struttura creata a palazzo Chigi ha a disposizione 1 miliardo di euro per finanziare le prime 700 opere cantierabili. Si tratta di fondi stanziati dai governi precedenti, ma la novità è che questa volta si dovrebbe cominciare finalmente a spendere. Il piano prevede investimenti per 7 miliardi nei prossimi 7 anni.
80 EURO – Un altro vanto dell’esecutivo Renzi è rappresentato dagli 80 euro al mese ai redditi medio bassi, come da promessa. Il bonus è entrato in busta paga per chi ha un reddito da lavoro tra 8.000 e 24.000 euro l’anno (ma l’effetto, a scalare, si sente fino ai 26.000). Era stato inizialmente finanziato per il solo 2014, ma nella legge di stabilità il governo ha trovato i 9 miliardi l’anno per renderlo stabile. Non è stato possibile estenderlo, come ventilato, a partite Iva, pensionati e incapienti, ma il premier ha voluto allargare la platea quanto meno a chi farà un figlio nel 2015 col bonus bebè. Al momento la misura non ha dato gli effetti sperati sulla domanda, rimasta invariata, ma i responsabili economici del governo predicano pazienza. I dipendenti dello Stato e i pensionati sono state le categorie più tartassate. Gli statali subiscono il blocco degli stipendi bloccati per il quinto anno consecutivo.
JOBS ACT – E’ certamente la misura che ha fatto più rumore, anche perchè in questo senso il premier si è mosso diversamente da quanto aveva annunciato. L’abolizione dell’articolo 18 è stata ovviamente la pietra dello scandalo, ma non è l’unica. I favorevoli sottolineano che l’emergenza del momento è la disoccupazione e che il contratto a tutele crescenti, unito agli sgravi fiscali sulle assunzioni, agevolerà una ripresa dell’occupazione, specie quella giovanile.
Per i detrattori è invece la classica riforma che obbedisce all’austerity imposta dall’Ue, con tagli di spesa pubblica, politiche che riducono la capacità contrattuale dei lavoratori e sgravi fiscali per le grandi imprese, specie per quelle che esportano, un modello di “svalutazione competitiva” che è la linea italiana da Mario Monti in poi. Sia per la valutazione del numero di nuove assunzioni, sia per tirare le somme sulla “svalutazione competitiva”, occorrerà attendere i dati dei prossimi mesi. Per ora il bilancio è negativo.
SPENDING REVIEW – La spending review del commissario Carlo Cottarelli sembra sparita dall’orizzonte del Governo. Renzi aveva annunciato diverse misure “coprendosi” proprio dietro gli oltre 30 miliardi da recuperare tramite la revisione della spesa, ma in realtà Cottarelli non è mai stato messo in condizione di portare a termine il proprio lavoro ed infine sollevato dal ruolo. Il governo si è sempre rifiutato di divulgare i dossier sugli sprechi nella Pubblica Amministrazione, e non si sa più nulla nemmeno del progetto per rendere efficace la centrale unica degli acquisti della Pubblica Amministrazione. È stato invece chiesto agli enti locali tutti di trovare 6,2 miliardi l’anno, con tagli o con aumento di tasse.
PROVINCE – L’abolizione delle Province ha fatto discutere, primariamente perchè in sostanza esistono ancora; infatti consiglieri e presidente non vengono più eletti dai cittadini bensì dai consiglieri comunali di zona, e le nuove province sono divenute enti “di secondo livello”. I nodi principali riguardano le competenze (sia delle nuove province che delle città metropolitane), il finanziamento di ciò di cui si occupavano le province (strade, scuole, trasporti) e l’eventuale ricollocamento di ventimila dipendenti. Sostanzialmente si è trattato di una trasformazione degli enti, ma le economie sono ancora tutte da valutare.
LA SANATORIA FISCALE – Altro punto parecchio controverso, tanto da aver portato il governo a promettere di rivedere il decreto fiscale licenziato e poi “congelato” alla vigilia di Natale. In fase d’insediamento Renzi parlò di “Fisco non più nemico ma amico e consulente del cittadino, salvo poi quando accade che qualcuno davvero commette reati o è comunque passibile di sanzioni amministrative, perchè allora la repressione dev’essere durissima”. Un anno dopo il premier ha firmato un decreto attuativo della delega fiscale con un articolo – il 19 bis – che realizza una sorta di sanatoria per reati di evasione e frode fiscale sotto la soglia del 3% del fatturato o del reddito imponibile. Si è parlato di norma “salva Berlusconi”, perchè avrebbe annullato a posteriori la condanna per frode fiscale dell’ex Cavaliere, ma in realtà trova il paluso di banche e grandi aziende. I detrattori, visto che il governo parla di “decreto non ad personam nè contra personam, ma per gli italiani”, si chiedono quanti siano gli italiani in grado di evadere sul 3% dell’imponibile. Comunque si tratta di una partita che il governo non considera conclusa, tanto che ritiene sia indispensabile chiedere una proroga di sei mesi per l’attuazione della delega” sulla riforma fiscale. Lo ha annunciato in commissione Finanze della Camera il viceministro dell’Economia, Luigi Casero. E anche questo progetto passa fra color che sono sospesi.
PARTITE IVA – “Nella Legge di stabilità, sulle partite Iva, ho fatto un errore. Ma adesso recuperiamo”, aveva detto il presidente del Consiglio ai primi di gennaio. Il riferimento è appunto alla nuova imposta sostitutiva – triplicata dal 5 al 15% – in vigore dall’1 gennaio per i freelance, che già, per effetto della riforma Fornero, si sono visiti aumentare dal 27,72% al 29,72% l’aliquota contributiva della gestione separata Inps. Il cambio di regime ha portato, oltre alle polemiche, anche una decisa presa di posizione delle categorie interessate. Le possibili modifiche potranno riguardare l’abbassamento dell’imposta sostitutiva ed un intervento sui ricavi.
PIL E DISOCCUPAZIONE – “Dal 2008 al 2013 il Pil di questo Paese ha perso 9 punti, e la disoccupazione giovanile è passata dal 21,3 al 41,6. Sono i numeri di un tracollo”. Pensieri e parole di Matteo Renzi al Senato nel febbraio 2014. L’inversione di tendenza ancora non si vede, considerato che nel Def si metteva nero su bianco una crescita del Pil dello 0,8% nel 2014, mentre le stime parlano di una ulteriore diminuzione dello 0,4%, mentre sul lato disoccupazione – stando ai dati Istat di fine dicembre – siamo al 12,9% ed al 42% per quella giovanile. Numeri ancora peggiori rispetto al “tracollo” evocato da Renzi, ma leggermente migliori rispetto ai dati di novembre. Certo il bilancio non è favorevole. Su 12 provvedimenti esaminati, con molta buona volontà possiamo dare il via libera solo a tre misure, neppure realizzate fino in fondo. Renzi ha chiesto di aspettare 1000 giorni per valutare i risultati delle sue riforme. Che per ora sembrano solo e soltanto chiacchiere.

V.P.
MANCA IL PARAGRAFO PER LA SUOLA A CONFERMA CHE IL FLOP È STATO TOTALE!