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Pensioni, Inps: ecco perché i tagli annunciati da Boeri sono sballati

Tito Boeri
Tito Boeri

Dopo l’ennesima bocciatura dei tagli ai vitalizi dei parlamentari e dei consiglieri regionali, Tito Boeri – presidente Inps – e c. continuano a sproloquiare non su questa vergogna, ma sui pensionati che hanno lavorato 35/40 anni versando ‘contributi d’oro’. E si tace anche sugli 8 milioni di pensionati (la metà del totale) che incassano una pensione non ancorata, se non in minima parte, ai contributi versati. E che ora si vorrebbe premiare togliendo a coloro che hanno pagato puntualmente tasse e contributi. Per questa finalità, lo ha sentenziato la Corte Costituzionale, lo Stato deve far ricorso all’assistenza sociale con i mezzi assicurati dalla fiscalità generale, e cioè pagati proporzionalmente da tutti i contribuenti e non solo da una parte ristretta dei pensionati. Che, come ha ricordato anche Luciano Gallino su Repubblica in una lettera aperta al bocconiano presidente, attraverso il pagamento dell’Irpef contribuiscono ulteriormente con circa 45 miliardi al pagamento della previdenza e, in parte, anche dell’assistenza. Di qui debbono essere recuperati i fondi per riequilibrare presunte ingiustizie.

LETTA – Intanto confermiamo che legge 147/2013 (Governo Letta) ha ripristinato il prelievo, aumentandolo (6, 12 e 18%), sulle pensioni superiori ai 90mila euro annui e che, anche in merito a questi contributi, sono stati presentati ricorsi alle sezioni della Corte dei Conti, che finiranno nuovamente davanti al giudizio della Corte Costituzionale, che non potrà che confermare la precedente decisione d’incostituzionalità.

BOERI – Boeri vorrebbe intervenire per eliminare la distorsione che a suo avviso esiste fra pensioni erogate col sistema solo contributivo e pensioni derivanti dal sistema misto retributivo – contributivo. Cerchiamo di fare una volta di più chiarezza in merito ai presunti vantaggi del sistema retributivo rispetto al contributivo.

RETRIBUTIVO – Il sistema retributivo garantisce – o meglio, garantiva, essendo stato definitivamente abolito – il 2% della retribuzione media decennale solamente fino a un reddito massimo di 43.000 euro/anno; da questa cifra in poi, il fattore percentuale diminuiva fino allo 0,9% a 81.500 euro/annui per poi rimanere tale. In parole povere ciò significa che un lavoratore con retribuzione superiore a 60.000 – 70.000 euro annui che fosse andato in pensione a 60 anni con 40 di anzianità lavorativa e con una aspettativa di vita di 80 anni, aveva poche probabilità di ricevere indietro i contributi versati e rivalutati, nonostante il sistema retributivo venisse propagandato come ricco.

BENELLI – Un esperto che conosce bene l’Inps, Bruno Benelli, in un articolo apparso sul Messaggero, ha valutato che se “il calcolo contributivo venisse applicato proprio come viene proposto non avrebbe impatto pratico per le pensioni cosiddette ‘d’oro’, cioè proprio per quelle rendite che si vorrebbero colpire. Il retributivo può essere superiore al contributivo solo se le retribuzioni sono grosso modo inferiori a 50.000 euro lordi annui”. Non a caso Nichi Vendola (Sel) si oppone al calcolo contributivo perché sa che ridurrebbe le pensioni di coloro che oggi hanno uno stipendio lordo fino a 2.500 euro.

PATTO – Ma soprattutto si tratta di una questione morale, oltreché giuridica. Lo Stato non può tradire il patto stipulato con i cittadini. I cittadini pensionati di oggi dovevano essere messi sull’avviso in tempo (40/50/60 anni fa) che poi gli istituti previdenziali avrebbero cambiato le regole. Lo Stato ha già tradito gli impegni sulla perequazione annuale (ma per il 10 marzo è attesa la pronuncia sul punto della Corte costituzionale). Bisogna dire basta ai provvedimenti ideologici e discriminatori. “Con il sistema della legge di stabilità 2014 – ha scritto autorevolmente Spi/Cgil – si verifica un impoverimento progressivo e programmato degli assegni che hanno un importo superiore a 3 volte il trattamento minimo”.

INPS – Ma, anche se si volesse seguire l’idea di Boeri, i risultati pratici se l’Inps dovesse procedere a un nuovo calcolo delle pensioni, quantificando la quota che queste pensioni verrebbero a perdere se si applicasse il metodo contributivo sarebbero contrari alle intenzioni del neopresidente. L’intervento – se venisse applicato proprio come viene proposto – non avrebbe infatti impatto pratico per le pensioni cosiddette “d’oro”, cioè proprio per quelle rendite che si vorrebbero colpire. Questo perché sulle retribuzioni superiori a 45.530 euro lordi annui il calcolo retributivo scende dal 2% annuo (80% dopo 40 anni) all’1,60%. Poi, a partire da 60.555 euro scende all’1,35%, quindi si riduce all’1,10% sulle quote superiori a 86.500 euro e cade allo 0,90% sulle quote eccedenti.

OLTRE 40 ANNI – Applicando questo decalage su una retribuzione annua di 100mila euro, la pensione ‘retributiva’ viene calcolata nell’effettiva aliquota media dell’1,50% (perdendo un quarto del suo valore). E tralasciamo di considerare che con il sistema retributivo chi si è presentato all’Inps con una dote di 41-45 anni di contributi versati ha ricevuto la pensione calcolata solo su 40 anni, mentre con il metodo attuale non ci sono scippi di montanti contributivi. E non è cosa da poco aver perso nel calcolo mediamente due-tre anni di contributi.

DATO E RICEVUTO – Risultato? Il retributivo è superiore al contributivo solo se le retribuzioni sono grosso modo inferiori a 50.000 euro lordi annui. Se dunque si parte dal principio che “chi ha avuto di più rispetto a quanto ha pagato” deve restituire di più, i lavoratori più sotto tiro dovrebbero essere quelli che hanno pensioni di 1.000 euro al mese, quelli che hanno pensioni integrate al minimo di 500 euro, e in misura massima i lavoratori autonomi agricoli, gli artigiani e i commercianti che hanno la parte retributiva della pensione calcolata con le medesime percentuali dei lavoratori dipendenti, per le quali però hanno pagato contributi ridotti all’incirca della metà.

Ma non credo che Boeri si avventuri su questa strada, anche perché Renzi, che da sempre vede di malocchio la categoria dei pensionati, almeno finora ha affermato di non voler percorrere la strada dell’introduzione di nuovi balzelli. Ma non è il caso di stare sereni in base alle promesse del premier: tanti esempi precedenti ci mettono in guardia del contrario.


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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