I black bloc a Expo Milano, Renzi: «Teppisti figli di papà». Inchiesta per «devastazione»: basterà a punire i violenti?
MILANO – Il commento ufficiale del Governo sugli scontri di Milano in occasione dell’inaugurazione di Expo 2015 è stato pubblicato ieri 1 maggio sul sito di Palazzo Chigi: «Il volto autentico di Milano è quello, positivo nobile e bello, dell’apertura dell’Expo al mondo e al futuro. Il messaggio di lavoro, orgoglio e valori che viene da Expo non può essere e non sarà insultato dai violenti e da questi vigliacchi incappucciati. Il volto autentico di Milano non è quello dei vandali che hanno impegnato le forze dell’ordine, cui va il ringraziamento del governo. Il volto autentico sono i bambini che cantano l’inno e i milanesi che stanno già rimettendo ordine in città».
RENZI – Lo stesso premier Renzi ha commentato: «Gli italiani sanno benissimo da che parte stare: hanno sciupato la festa? Hanno cercato di rovinarcela. Ma quattro teppistelli figli di papà non riusciranno a rovinare Expo. E Milano è molto più forte come spirito e determinazione di quello che questi signori pensano». Non erano tuttavia solo «quattro teppistelli» né tutti «figli di papà» quelli che hanno devastato Milano. Francamente quella del premier ci sembra una definizione minimalista, senz’altro troppo ottimistica. Vediamo perché.
SCONTRI – Nel corso dei gravi scontri che hanno devastato la città, durante la giornata inaugurale di Expo 2015, ieri 1 maggio, è successo un episodio particolarmente grave. Sul quale alcuni giudici che a volte appaiono quasi permissivi con i black bloc e gli antagonisti, e forse anche la magistratura della Corte di Strasburgo che ha condannato l’Italia per tortura (in relazione all’irruzione della polizia nella scuola Diaz di Genova, all’epoca del G8 del 2001) dovrebbero riflettere. Nelle foto che pubblichiamo si vede in sequenza un dirigente di polizia che, sorpreso alle spalle mentre fermava una manifestante, è stato aggredito a calci e bastonate dai compagni della donna. Solo grazie all’intervento dei colleghi si è salvato da conseguenze gravi. Nella sequenza fotografica si vedono due black bloc che, usciti dai cespugli di un’aiuola, saltano addosso all’agente colpendolo alle spalle e poi, una volta a terra, con calci e con un grosso bastone di legno. Dopo il pestaggio, però, la giovane, che si chiamerebbe Anita e avrebbe 33 anni, è stata individuata e fermata e si aggiunge agli altri quattro sospettati di violenze che sono stati arrestati.
FUNZIONARIO PS – Così ha commentato il funzionario: «L’avevo vista che lanciava degli oggetti, era una delle più scatenate, non potevo far finta di niente, il mio dovere era di arrestare questa gente. Quando l’ho presa per un braccio lei si è girata di scatto e mi ha tirato contro una bottiglia, che ho schivato – racconta l’uomo, dirigente di un Commissariato – la stavo portando dai colleghi quando sono usciti da un cespuglio alcuni suoi compagni. Una volta a terra uno, con la maschera antigas, cercava di spaccare la mia visiera con qualcosa in ferro, mentre l’altro mi colpiva con un bastone. Se non avessi avuto il casco, la conchiglia, i parastinchi e le altre protezioni sarebbe finita molto peggio. Ora invece sono ammaccato, ma niente di grave».
VIOLENZE – Ieri, tutto sommato, le violenze non hanno determinato conseguenze più gravi per la professionalità e il buon senso con il quale hanno agito le forze dell’ordine. Le azioni preventive avevano del resto consentito di isolare alcuni dei professionisti della protesta, anche stranieri, nei confronti dei quali la magistratura non aveva però autorizzato i provvedimenti richiesti dalle autorità di sicurezza. Sembra di trovarsi a volte di fronte a un garantismo fine a se stesso, che contribuisce, di fatto, ad accrescere il senso d’impunità di questi soggetti.
La procura di Milano ha deciso ora di procedere contro coloro che sono stati o saranno identificati (sono in corso verifiche sui filmati) e ha formulato l’ipotesi di reato di «devastazione». Quest’ipotesi è prevista dall’articolo 419 del codice penale e prevede una pena massima di 15 anni di carcere. Ma, visti i precedenti e viste le scappatoie consentite dalla nostra legislazione, dubitiamo che si arrivi a pronunce severe nei confronti dei responsabili, sempre ammesso che possano essere fornite nei loro confronti prove giudicate solide dai magistrati.
Margherita Micunco
“In fuga da me”
In quanto adolescente, mi sento in dovere di rappresentare quella categoria di giovani che attraversano una fase di provvisorio smarrimento alla ricerca del proprio essere, della propria originalità.
Noi giovani vogliamo diventare psicologicamente autonomi cercando di affermare il nostro io, ricercando noi stessi, svincolandoci dall’educazione ricevuta o dalle pressioni sociali: questo spesso porta a riconoscere chi siamo davvero. Gli adolescenti del ventunesimo secolo aspirano a rapporti autentici e sono in cerca della verità, ma non trovandola nella realtà, sperano di scoprirla dentro di se’. In una società che per diverse ragioni coltiva la paura e l’impotenza, il dubbio e il cinismo, il giovane presenta difficoltà nel trovare basi solide su cui fondare la propria esistenza.
Il viaggio alla ricerca di se stessi è interrogazione continua, inesausta.
Ho visto amici perdere il controllo in questa smodata ricerca, impazzire a tal punto da affermare “attualmente non so più chi sono”.
Ho visto giovani intraprendenti affrontare i “mal comuni” dell’adolescenza con un sorriso stampato in faccia e altrettanti giovani assumere sostanze al fine di allontanare i problemi, le timidezze, i malumori…fino ad incapsularli. Ciò che più spaventa noi adolescenti è il confronto con il mondo.
Aprirsi all’altro, al nuovo, allo sconosciuto è possibile solo quando i nostri confini sono già ben definiti, in modo tale che il timore di fondersi e con-fondersi con l’altro venga meno.
Penso di potermi fare portavoce del fatto che ogni profonda e turbolenta crisi personale reca con se almeno un elemento positivo: indica la via ad un cambiamento interiore, la scoperta di nuove potenzialità e nuovi valori. Pian piano si tende ad abbandonare quel “concetto di se’” costruito sull’opinione dei genitori, per sostituirlo ad una considerazione di sé derivata dai giudizi dei coetanei, ove è di fondamentale importanza l’attrazione sessuale, l’aspetto fisico.
A proposito di questo, posso definire il mio periodo di crisi adolescenziale come una lotta alla sopravvivenza: l’anoressia.
Dalla ricerca della mia identità, del controllo e della consapevolezza del mio corpo,ho finito per perdere me stessa. La mia crisi adolescenziale si era trasformata in un dramma a carattere familiare: tutti erano coinvolti nel mio dolore, tutti erano coinvolti nella mia perdizione.
Un giorno, ho poi deciso di mettere fine ai miei egoismi che stavano trascinando nel baratro anche chi aveva deciso di starmi accanto e mi sono ritrovata o meglio, mi sono riscoperta. Ho finalmente capito che non stavo cercando una nuova immagine di me, stavo scappando da quella che realmente ero. Stavo “resistendo” ad essere chi davvero volevo essere per poter piacere agli altri.
Ed è proprio da questa resistenza che nasce la frustrazione, l’insoddisfazione, una maggiore tensione dalla quale sembra offuscarsi la prospettiva di vedere realizzata la propria vita.
La verità, è che non possiamo essere come ci hanno detto che dovremmo essere, poiché non ci sono standard predefiniti, non c’è una realtà giusta o sbagliata nella quale sentirsi adeguati o meno. Esistono tante realtà quanti sono gli esseri umani, ognuno si crea la sua.
A 18 anni, con ancora tutta una vita davanti, posso affermare a gran voce che in questo periodo così travagliato come l’adolescenza ho appreso che volersi bene e imparare ad amarsi è ciò che di più straordinario ci possa essere.
A tutti gli adolescenti, non abbiate paura!