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Taglio delle prefetture: proteste di politici, amministratori, categorie economiche. A Prato i più arrabbiati

La Prefettura di Prato
La Prefettura di Prato

ROMA – Come prevedibile, quando a un territorio si toglie un presidio, politici, categorie economiche e cittadini scendono subito sul piede di guerra per protestare. L’annuncio della sparizione di 23 prefetture, questure e comandi provinciali dei vigili del fuoco sta sollevando un putiferio di reazioni in tutti i capoluoghi interessati. Mi sono preso la briga di leggere le cronache dei giornali locali: come un sol uomo tutti i sindaci, i politici, i presidenti di associazioni hanno seguito la scia dei sindacati, i primi a criticare il provvedimento, lamentando i possibili trasferimenti di migliaia di dipendenti.

SEDI – Dopo le reazioni dei politici piemontesi, salgono proteste indignate a Prato, Fermo, Chieti, Pordenone, Lodi, Sondrio, Cremona, Belluno, Rovigo, Piacenza, Fermo, Teramo, Rieti, Benevento e nelle altre città del sud coinvolte. Ecco solo qualche titolo: “Lo Stato si ritira dal territorio”; “Smantellata la presenza dello Stato”; “Riforma delle prefetture: sarà un autunno caldo”; “Diventeremo succursale di Pistoia” (i pratesi); “Polesine più povero” e via dicendo.

LEGA – C’è anche chi esulta e afferma che il Governo è stato troppo timido nella soppressione. La senatrice leghista Emanuela Munerato di Rovigo afferma che “le prefetture sono un carrozzone e che lo Stato spende, solo per gli stipendi di prefetti e viceprefetti, 116 milioni l’anno”.

TOSCANA – Quanto alla situazione toscana, per Prato il sindaco Biffoni teme soprattutto il depotenziamento di questura e vigili del fuoco e afferma che la prossima settimana sarà a Roma per fare chiarezza: la città noon si può permettere un arretramento della sicurezza. Sale anche la protesta dei consiglieri regionali Pd Ilaria Bugetti e Nicola Ciolini, che difendono le specificità del territorio, chiedendo al Ministero dell’Interno una marcia indietro. A Massa per ora hanno protestato solo i sindacati di categoria, direttamente interessati.

PROTESTA – Alla base delle protesta ci sono sì effettive ragioni sociali ed economiche, ma soprattutto motivi campanilistici. Non vengono intaccate soltanto prefetture che vantano pochi anni o pochi decenni (Vibo Valentia, Pordenone, Lecco, Lodi, Fermo, Isernia, Vcrbania. Biella, Prato, Oristano), ma anche uffici risalenti al periodo fascista (Enna, Rieti. Asti, Savona) o alla stessa Unità nazionale (Cremona, Massa-Carrara, Rovigo, Benevento, Sondrio, Piacenza, Belluno, Teramo, Chieti).

PRATO – In più esistono le secolari rivalità fra province contermini: i sanniti sono umiliati perché vanno a dipendere da Avellino. I piacentini sono infuriati perché finiscono sotto i parmigiani. Pescara divenne capoluogo a spese di Chieti, che adesso viene riaccorpata con la città che fino a quasi ottant`anni fa nemmeno aveva una propria provincia. Prato si risparmia il ritorno – dopo soli 20 anni d’autonomia – nel ventre di Firenze, ma non è molto più soddisfatta di finire sotto Pistoia. Lo conferma qualche articolo di stampa.

SOPPRESSIONI – E’ sempre difficile sopprimere presidi e sconvolgere abitudini inveterate. Già la Banca d’Italia – quando Draghi era Governatore – aveva trovato difficoltà per la ristrutturazione delle filiali, lunga e complicata dagli intoppi frapposti dai sindacati. Ho già fatto riferimento all’infelice tentativo del Governo Monti di unire decine di province, poi rientrato anche per intervento della Corte costituzionale, ma contro il quale si erano subito scagliati i rappresentanti dei territori ‘degradati’. Anche la riscrittura della geografia giudiziaria – voluta dal ministro Cancellieri – ha determinato infiniti malcontenti, più volte approdati in parlamento.

REGIONI – Occorre invece estendere questa filosofia – applicata con raziocinio – anche ad altre istituzioni come le regioni. Il Molise ha una popolazione pari a un municipio di Roma Capitale (poco più di 300mila abitanti), ma anche Basilicata, Umbria, sarebbero legittimamente sotto esame. Per non parlare di qualche regione o provincia a statuto speciale, costituzionalmente garantite. Quanto alle province lo ribadisco: lo strombazzato riordino si è limitato all’eliminazione del voto popolare, a qualche sforbiciata nelle spese delle indennità di 3.000 amministratori. Per i comuni solo un limitatissimo numero ha accettato di unirsi; i dati dell’ultimo censimento segnano 1.192 comuni da cinque a diecimila abitanti, 2.162 enti da due a cinquemila abitanti e ben 3.521 sotto i duemila.

Renzi ha ancora un vasto campo nel quale intervenire, ma è il campo più difficile e complicato per lui: quello degli sprechi e delle spese della politica. Contro le quali ha dimostrato finora di voler intervenire soltanto a parole.


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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