Economia, la ue rivela: ecco le tre riforme che farebbero crescere il pil italiano del 23%
BRUXELLES – Ogni tanto dall’Unione europea potrebbero venirci suggerimenti utili, a patto che il Governo riuscisse a dare ascolto e a tradurli in pratica. Alcune riforme – secondo gli esperti Ue – nello spazio di un paio di generazioni farebbero aumentare il nostro prodotto interno lordo di un quarto. A rivelarlo è una simulazione compiuta da tre economisti della direzione generale per gli affari Economici e finanziari della Commissione Europea; uno studio firmato dal responsabile del desk Italia Dino Pinelli, e dagli ungheresi Istvàn Szekely, direttore della Ricerca, e Janos Varga.
FONDAMENTI – Tre sarebbero le riforme fondamenti per la crescita italiana: istruzione, innovazione e detassazione del lavoro. La ricerca è stata condotta comparando i risultati ottenuti dall’Italia con quelli dell’Eurozona e degli altri paesi dell’Ocse. Un quadro che negli ultimi anni ci ha visto perdere molte posizioni sia nel reddito procapite, sia nella produttività.
PERSONE – Tornare a investire sulle persone, sostengono gli economisti, può ribaltare la tendenza. Bisogna che gli imprenditori si rendano conto che il lavoro dequalificato e mal pagato non rende nulla. Servono più laureati, visto che sotto i 35 anni ne abbiamo pochi, ma anche le conoscenze di base latitano. Le ricerche mostrano come la popolazione tra i 16 e i 25 anni abbia competenze letterarie e matematiche analoghe a quelle delle classi di età tra i 45 e i 54. I figli, insomma, se va bene ne sanno quanto i genitori. Ciò in parte dipende dallo scarso ritorno economico che l’istruzione porta agli italiani rispetto ai neolaureati di altri paesi quando vanno a cercare lavoro. Le piccole e medie aziende premiano poco lo studio. Ma ciò, in un circolo vizioso, determina di conseguenza anche la scarsa crescita delle imprese.
INNOVAZIONE – Un ragionamento analogo può essere fatto per l’innovazione: l’investimento in ricerca e sviluppo, paragonato a quello delle altre nazioni è troppo basso. Lo stesso dicasi per il numero di brevetti e per il venture capital, il capitale di rischio per alimentare le nuove imprese: poco più di 100 milioni l’anno in Italia, nulla rispetto a Gran Bretagna o Germania. Infine, la farraginosità della burocrazia per l’esercizio di nuove aziende vanifica – secondo i ricercatori – anche le liberalizzazioni economiche e l’apertura verso il mercato avvenute negli ultimi anni.
TASSE – Quanto alle tasse, malgrado la timida diminuzione dell’ultimo anno, la pressione fiscale sul lavoro resta molto più alta degli altri paesi Ue.
PIL – Accorciare la distanza che ci separa dalle economie migliori e raggiungere le prime posizioni porterebbe a un aumento del Pil di 23,8 punti percentuali in 50 anni. Una crescita in parte dovuta al recupero di produttività, in parte al maggior numero di occupati. Si tratterebbe di un risultato di lungo periodo, senza tener conto della congiuntura, che nei prossimi mesi, con energia e denaro a basso costo ed Euro debole, si annuncia per la zona euro straordinariamente favorevole.
Investire sulle riforme strutturali di lungo periodo (ma non quelle tipo riforma del Senato, vantata da Renzi) : così secondo la Commissione Europea potremmo invertire con più decisione la tendenza che ci ha visto perdere 10 punti di Pil nei sette anni tra il 2008 e il 2014. Vedremo se i nostri uomini politici saranno all’altezza della scommessa sul futuro.