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Pd: Franceschini e Orlando in rotta con Renzi, accordo con Bersani e D’Alema. Ci si avvia alla resa dei conti

dario-franceschini-300x150ROMA – Come prevedibile, dopo la caduta del sovrano, molti anche nel Pd si stanno sfilando dal carro dell’ex vincitore. Le grandi manovre fra le correnti all’interno del partito egemone, che ci ha portati alla situazione attuale grazie anche all’azione di re Giorgio Napolitano, sembrano voler contrastare il disegno di Renzi, fortemente interessato solo ad un governo che spiani la strada verso l’obiettivo che interessa a lui, ma non al paese: essere il candidato premier del Pd in vista delle prossime elezioni politiche.

L’ex premier deve fare i conti in particolare con il terremoto esistente all’interno del Pd, destinato a ridisegnare la geografia del partito. Infatti sembra che una parte della maggioranza «renziana» – la corrente di Dario Franceschini e quella del Guardasigilli Andrea Orlando – stia sfilandosi, rompendo politicamente con il segretario-presidente. Rottura significativa perché le due correnti hanno una forte presenza nei gruppi parlamentari, tanto è vero che sono «franceschiniani» entrambi i capigruppo, quello dei deputati Ettore Rosato e quello dei senatori Luigi Zanda. Per questo il duo Franceschini-Orlando avrebbe stabilito in queste ore una linea di consultazione con la minoranza che fa capo a Pier Luigi Bersani e a Massimo D’Alema, molto attivo nella cucitura e in cerca di rivincita con il rottamatore, che si trova in difficoltà pur se animato da voglia di vendette e di rivalse anche nei confronti degli elettori.

Presto si potrà comprendere quale sarà il nuovo assetto, se il nuovo asse di centro-sinistra raggiunga i numeri per mettere in minoranza il leader. Per quanto riguarda i gruppi parlamentari la corrente di Franceschini (che raggruppa in prevalenza ex popolari, ma anche personalità ex ds come Piero Fassino e la ministra Roberta Pinotti) conta su una novantina di deputati (su 301), ai quali vanno aggiunti i deputati vicino ad Orlando (una quindicina) e quelli delle minoranze, venticinque. Si arriva a malapena a 140 deputati, dunque ne mancherebbero una decina per superare la quota non soltanto simbolica del 50%. Stesse proporzioni al Senato. Con Renzi sono ancora schierati Matteo Orfini e il ministro Maurizio Martina. La situazione è comunque fluida e non sono da escludersi rabbiosi colpi di coda del rottamatore, che le cronache descrivono deluso, infuriato e assetato di vendetta e di rivincite.

Al termine della prima giornata di consultazioni il presidente dimissionario ha preso atto che si sta aprendo la strada per un governo guidato da una delle personalità che lui stesso ha fatto trapelare 24 ore fa: il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan o quello degli Esteri Paolo Gentiloni. Due nomi che Renzi ha suggerito forse anche per chiudere la strada alla candidatura di Dario Franceschini. Ma su Padoan lo stesso Renzi avrebbe qualche riserva – troppo collegato a D’Alema, dicono a Palazzo Chigi – mentre su Gentiloni, che pure avrebbe l’aplomb «giusto», peserebbe il fatto di essere considerato invece troppo vicino a Renzi. E qualcuno, in attesa della definizione di questo rebus, si spinge a prevedere che ci sia già una data possibile per le elezioni anticipate: il 4 giugno 2017. Ma resta forte il sospetto che, in vista della scadenza di settembre 2017 (data nella quale i parlamentari maturano il vitalizio), ci sia comunque una forte componente trasversale che voglia arrivare alla scadenza naturale della legislatura.


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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