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Giustizia e politica, 25 anni da mani pulite, ma per la corruzione niente o quasi è cambiato

Un quarto di secolo è passato dall’inizio di Mani Pulite, l’inchiesta che allora sconvolse il mondo politico, affossando tutti i partiti, tranne uno, e che causò i mutamenti epocali che in Italia hanno portato alla seconda e alla terza repubblica. In attesa forse di una quarta, sperando che sia migliore delle precedenti, visti i risultati deludenti dell’epopea dei magistrati milanesi. Sì perché, dopo la grande pulizia che fu fatta dal potere giudiziario, a livello di corruzione tutto è praticamente tornato come prima, e addirittura alcuni dicono che la situazione sia peggiorata.

Ma ricordiamo quel lunedì 17 febbraio 1992 quando, poco dopo le 17.30, nel suo ufficio al Pio Albergo Trivulzio, Mario Chiesa viene arrestato per concussione per una tangente da 14 milioni che gli era stata appena consegnata da un giovane imprenditore, Luca Magni, che aveva messo a punto l’operazione per ‘incastrare’ Chiesa con l’allora sostituto procuratore a Milano Antonio Di Pietro e il capitano dei carabinieri Roberto Zuliani. Si apre così quello che, il giorno dopo, viene battezzato come il caso Chiesa, ma che presto diventa il caso tangenti e, subito dopo Mani Pulite, la più clamorosa inchiesta giudiziaria italiana.

Iniziata il 17 febbraio 1992, è solo nel 1993 che Mani Pulite conosce la sua massima espansione, mentre la Prima Repubblica cade sotto i colpi degli avvisi di garanzia, la mafia torna ad alzare il tiro a suon di stragi e attentati, l’economia del Paese subisce un vero e proprio tracollo e ben 70 Procure italiane avviano filoni sulla corruzione nella pubblica amministrazione sviluppando procedimenti a carico di 12mila persone. Nella cittadella giudiziaria milanese le indagini alzano il tiro sul sistema delle imprese e sulla politica. A partire dal 1993 le inchieste coinvolgono un po’ tutti, dal Pci-Pds alla Lega e, tra i colossi dell’economia, la Fiat, l’Eni, l’Enel, l’Olivetti, la Montedison, e per la prima volta anche il gruppo Fininvest. Alla fine, niente sarà più come prima, soprattutto tra i partiti, i primi a cadere sotto i colpi giudiziari. Solo il Pci-pds sopravvisse grazie al silenzio del compagno Greganti, che fu l’unico a pagare.

Il clima ora è cambiato, e anche la fiducia degli italiani nella magistratura è cambiata. Dieci giorni fa, nell’aula magna del palazzo di giustizia di Milano, da dove tutto partì, solo una ventina di persone hanno assistito alla celebrazione tenuta da Antonio Di Pietro e Piercamillo Davigo. Una celebrazione riuscita in modo così mesto e oscuro è l’attuale risultato di quel che resta di un gruppo di inquirenti che nel 1993 godeva del favore del novantacinque per cento degli italiani. Se n’è accorto lo stesso Davigo che 25 anni dopo afferma: «Sulla corruzione oggi la popolazione è rassegnata perché pensa che tutti la facciano franca. Praticamente nessuna condanna è stata eseguita: il 96% delle condanne è nei limiti della sospensione condizionale della pena, per la parte fino a 3 anni è previsto l”affidamento ai servizi sociali e per l”1% è intervenuto l’indulto che ha ridotto le pene». Una nostalgia neppure troppo nascosta di quel tintinnar di manette che è stata alla base dell’azione di Di Pietro e compagni. E proprio Di Pietro ha commentato la situazione attuale: «Tangentopoli era il sistema del malaffare. C’era allora e c’è adesso, solo che adesso si è in sostanza riprogrammato in modo più sofisticato per garantirsi sempre più l’impunità. (..)Ha fallito chi doveva attivarsi affinché ci fossero leggi, mezzi e prevenzione… E non voglio aggiungere altro». Parole amare di due magistrati che sono stati in prima linea per combattere la corruzione e che constatano adesso che i loro sforzi sostanzialmente sono stati quasi vani.

Mentre la corruzione, nonostante le migliaia di inchieste aperte in tutt’Italia da solerti magistrati, continua a farla da padrona, tanto che secondo la classifica 2017 di Transparency, l’Italia è al sessantesimo posto nel mondo (dietro l’Oman) e al penultimo in Europa, dove più corrotti di noi sarebbero soltanto i bulgari. Proprio un bel risultato per celebrare, in modo negativo, l’epopea di Mani Pulite e un pessimo viatico per il collega di Di Pietro e C., Raffaele Cantone, al quale Renzi ha dato il timone della nuova Autorità anticorruzione, che finora sembra esser riuscito soprattutto a complicare procedure e appalti nell’intento di frenare l’illiceità. Ma, come nel 1992, probabilmente sarà una battaglia molto dura da vincere.


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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