
Firenze omelia di Pasqua 2017 di Betori, Eutanasia, attacco ai media: «Troppa enfasi sui casi di suicidio assistito»

FIRENZE – «E’ troppo chiedere a questa società un soprassalto di umanità e considerare la vita un bene, senza stabilire una scala di accettabilità?». Si è posto la domanda l’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, nella sua omelia della mattina di Pasqua 2017. «Pensiamo davvero che sia vera civiltà rimuovere la sofferenza – impresa impossibile, a meno che non si intenda farlo compiutamente e quindi non arrestandosi di fronte a morti senza fine -, e non invece soccorrerla? È davvero compatire, cioè soffrire con l’altro, come dice l’etimologia, risolvere ogni problema eliminando la sofferenza e non sostenendola con chi soffre? Vogliamo essere amati e non abbandonati a noi stessi, alle nostre fragilità e alle nostre imperfezioni! E dobbiamo tutti interrogarci su come possiamo sostenere la sofferenza e l’impegno di chi lotta per una vita dignitosa, rifiutandosi di pensare che una vita umana possa non avere dignità perché non raggiunge un certo livello di qualità. E non si sa poi chi un giorno misurerà questo livello qualitativo della vita, magari tenendo conto di qualche risparmio sociale, economico e soprattutto di investimento in rapporti umani».
Poi il cardinale ha rivolto il dito contro i media, e i mezzi di comunicazione in genere, che metterebbero troppa enfasi sui casi di suicidio assistito. Ha detto: «L’enfasi di cui i casi di suicidio assistito e di eutanasia godono sui mezzi di comunicazione sociale dovrebbe preoccupare, perché comincia a somigliare a una propaganda, non tanto occulta, per indurci a ritenere che così ormai deve essere: quando la vita non ha più la qualità adeguata, va soppressa! A stento, a volte per nulla, invece – devo pensare responsabilmente e quindi colpevolmente -, viene data voce ai tanti che, nelle medesime condizioni penose di vita, vanno avanti con grande fatica, grazie al sostegno di istituzioni, associazioni, familiari e amici, che non fanno mancare soccorso, solidarietà, vicinanza e amore. Perché qui sta la differenza: essere amati o essere abbandonati; e non si amano le persone lasciandole andare alla morte o addirittura favorendo questo passo, ma accompagnandole nella vita con l”affetto che dice che ognuno è importante per noi, e non vogliamo perderlo, fino all’ultimo. Sono riflessioni – ha concluso il cardinale – che non si disgiungono da sentimenti di comprensione, vicinanza e misericordia verso coloro che, in situazioni di sofferenza lancinante, giungono a tali scelte non condivisibili e verso i loro familiari; qui non sto giudicando le persone, ma un”atmosfera culturale che ci vorrebbe convincere dell”impossibile: che cioè la morte, e non la vita, sia un bene!».