Firenze, Opificio delle pietre dure: il «Sacro catino» non è il Graal, è mesopotamico

FIRENZE – Nuova ipotesi sul cosiddetto Sacro Catino: potrebbe essere mesopotamico.
L’ipotesi è dei ricercatori dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e dell’Università di Venezia, Simone Porcinai e Marco Verità. Il nuovo restauro ha colmato le due lacune dell’opera, ricostruendo le due parti su dodici mancanti. Le nuove ricerche ai raggi X condotte su un frammento visibile solo a microscopio hanno stabilito che l’opera è realizzata in un particolare vetro silico-sodico-calcico, colorato con una tecnica a base di ferro e rame, riconducibile agli artigiani attivi tra il Tigre e l’Eufrate tra il III secolo a.C e il VII d.C.
L’opera, a lungo considerato il Sacro Graal, sarebbe dunque della Mesopotamia. Alcuni la attribuivano a una bottega di epoca romana imperiale o a una manifattura islamica del IX secolo. Il Sacro Catino fu ottenuto da una massa di vetro colata in un unico stampo, molata con la cosiddetta tecnica ‘della ruota’ e sarebbe stato costruito in tre anni. Nel 1798 il manufatto venne trafugato alla Repubblica di Genova da Napoleone I e un comitato di saggi nel 1807 a Parigi riconobbe per la prima volta in modo definitivo che il Sacro Catino non era costruito in smeraldo ma in semplice vetro.
«Nella storia della nostra Genova, nelle diverse fasi, anche le più drammatiche – commenta l’arcivesco Bagnasco – i nostri padri hanno sentito il bisogno di recuperare l’unità di un popolo, di una cittadinanza, di una storia, che rischiava di frantumarsi in conflitti, rivolgendosi al linguaggio simbolico che questo oggetto per la sua bellezza, anche se forse non nella sua preziosità dello smeraldo, racchiudeva».
