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Lavoro: Istat, governo e Renzi esaltano 1 milione di posti, ma sono quasi tutti precari. Disastroso il confronto con il 1977

Grandi esultanze e strombazzamenti sono venuti dal Governo e da Renzi dopo la pubblicazione dei dati su lavoro e occupazione acriticamente esposti dall’Istat, che dimostra un occhio a favore del rottamatore da quando è presidente il prof. Alleva. Per far risaltare meglio il loro eccellente (a loro dire) operato il governo e Renzi fanno partire i conteggi dal 2014, anno primo dell’era Jobs act, e quindi parlano di un milione e 29 mila occupati in più con ben 541mila posti a tempo indeterminato.

In realtà la fotografia degli ultimi 11 mesi del 2017 è diversa: rispetto al novembre 2016 ci sono infatti 497 mila lavoratori dipendenti in più, ma di questi solo 48 mila sono assunti con contratti permanenti, mentre i restanti 450 mila sono a termine: in un anno sono saliti del 18,3%ed ora valgono il 16% del totale (2,9 milioni contro 14,9). In pratica «10% di permanenti e 90% a termine, osservano esperti e osservatori indipendenti. Questa la composizione dei nuovi occupati negli ultimi 12 mesi», annota il direttore della Fondazione Adapt, Francesco Seghezzi che segnala come tra settembre e novembre si contino 101mila contratti a termine in più e 16mila indeterminati in meno.

Il governo vede ovviamente il bicchiere più pieno che vuoto. E lo stesso fa ovviamente Renzi. I numeri però parlano da soli: da quando si è esaurita la spinta degli incentivi alle nuove assunzioni (che non a caso da quest’anno verranno rilanciati) le tipologie di contratti precari hanno di gran lunga sopravanzato quelli stabili. E la progressione sembra non arrestarsi.

Le ultime statistiche non solo ci consegnano un mercato del lavoro sempre più precario, ma dimostrano anche che la qualità dei nuovi posti creati lascia molto a desiderare. Ad ingrossare le fila di chi ha finalmente trovato un’occupazione sono soprattutto lavoratori inquadrati nelle qualifiche più basse, addetti alle vendite ed ai servizi personali, occupati nelle attività di noleggio, nelle agenzie di viaggio e nelle agenzie immobiliari, nei servizi di supporto alle imprese,nei trasporti e nelle attività di magazzinaggio, come nelle attività legate ai servizi di alloggio e ristorazione. Tutte professioni a cui corrispondono tra l’altro salari modesti e una produttività particolarmente bassa e tra l’altro in prospettiva potrebbero essere in gran parte automatizzabili.

Come segnala il sociologo del lavoro Emilio Reynieri stando ai dati dell’ Ocse il nostro, assieme alla Grecia, è l’unico mercato europeo dove la ripresa non si è tradotta in una crescita delle qualifiche più alte (professioni intellettuali, tecnico-scientifiche e dirigenti) più spiccata rispetto a quelle basse. Ad andare per la maggiore sono soprattutto i rapporti di lavoro di tipo stagionale, i contratti a chiamata, che hanno preso il posto dei vecchi voucher (+126% in un anno), ed i contratti di somministrazione (oltre un milione nel 2017, +22%), che consentono alle imprese di prendere in affitto i lavoratori di cui hanno bisogno.

Non solo, ma i diversi numeri positivi di novembre, alcuni da record come il totale degli occupati ai massimi dal 1977, nascondono altre ombre. Come spiega anche l’ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi rimaniamo infatti il Paese in Europa col secondo peggiore tasso di occupazione. Poi continua a cedere occupati la fascia di mezzo tra 35 e 49 anni, i più sfortunati visto che non beneficiano di alcun tipo di incentivi, ed aumenta in maniera preoccupante la disoccupazione tra gli over 50 (+7,2%) che scontano la fine degli ammortizzatori sociali.

Se questo è il frutto dello spasmodico impegno (soprattutto propagandistico) del rottamatore e dei suoi accoliti forse è meglio indirizzarsi verso la qualità piuttosto che la quantità dei posti, in massima parte precari. Pecca riconosciuta dallo stesso Renzi. Se poi vogliamo infierire e si guarda indietro di 40 anni, ovviamente con tutt’altra situazione economica, altra condizione del mercato del lavoro e altri inquadramenti, il confronto con il quadro odierno risulta impietoso: nel 1977 infatti il tasso di disoccupazione era al 6,4% ed i senza lavoro erano appena 1,34 milioni, il tasso di occupazione maschile era addirittura al 74,6% e anche allora i giovani soffrivano la disoccupazione, però i senza lavoro erano appena il 21,7% ovvero 10 punti in meno di oggi. Alla faccia dei pretesi miracoli del Jobs Act.

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