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Povertà: il 30% della popolazione a rischio di esclusione sociale. Siamo i primi in Europa

ROMA – Renzi se la ride (senza motivo) facendo il suo ingresso al Senato e annunciando che per due anni non parlerà (ma sarà un’altra delle sue bombe?) e la politica italiana ha dato uno spettacolo vergognoso all’inizio dell’attuale legislatura, recuperando un faticoso accordo nel finale, che ha messo fuori gioco il Pd, la Cgia di Mestre ci informa che negli ultimi anni, anche grazie all’opera ininfluente degli ultimi governi, con tasse record in Ue e con una spesa sociale tra le più basse d’Europa, il rischio di povertà o di esclusione sociale in Italia tra il 2006 e il 2016 è aumentato in Italia di quasi 4 punti percentuali, raggiungendo il 30% della popolazione. Le persone in difficoltà e deprivazione sono passate da 15 a 18,1 milioni.
Il livello medio europeo è invece salito solo di un punto, attestandosi al 23,1 per cento: 6,9 punti in meno rispetto alla nostra media. In Francia e in Germania, invece, in questi 10 anni il rischio
povertà è addirittura diminuito e attualmente presenta un livello di oltre 10 punti in meno al dato medio Italia.
A livello regionale la situazione al Sud è pesantissima, e anche per questo proprio al Sud c’è stato un voto quasi unanime di protesta che ha premiato soprattutto il M5S. Gli ultimi dati disponibili riferiti al 2016 segnalano che il rischio povertà o di esclusione sociale sul totale della popolazione ha raggiunto il 55,6% in Sicilia, il 49,9% in Campania e il 46,7% in Calabria. La promessa del reddito di cittadinanza ha fatto perciò breccia in queste regioni che hanno lanciato Di Maio e soci.

Inoltre Italia la pressione tributaria (vale a dire il peso solo di imposte, tasse e tributi sul Pil) si attesta al 29,6% (anno 2016), nonostante le altisonanti dichiarazione del rottamatore che si vanta di aver ridotto le tasse. Le cifre però dicono il contrario. Tra i nostri principali paesi competitori presenti in Ue nessun altro ha registrato una quota così elevata. La Francia, ad esempio, ha un carico del 29,1%, l’Austria del 27,4%, il Regno Unito del 27,2%, i Paesi Bassi del 23,6%, la Germania del 23,4% e la Spagna del 22,1%.

Al netto della spesa pensionistica, il costo della spesa sociale sul Pil (disoccupazione, invalidità, casa, maternità, sanità, assistenza, etc.) si è attestata all’11,9%. Tra i principali paesi Ue presi in
esame in questa analisi, solo la Spagna ha registrato una quota inferiore alla nostra (11,3% del Pil), anche se la pressione tributaria nel paese iberico è 7,5 punti inferiore alla nostra.
Tutti gli altri, invece, presentano una spesa nettamente superiore alla nostra.

In buona sostanza siamo i più tartassati d’Europa e con un welfare striminzito il disagio sociale e le difficoltà economiche sono aumentate a dismisura.

«In questi ultimi anni – commenta il coordinatore dell”Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo –  la crisi ha colpito indistintamente tutti i ceti sociali, anche se le famiglie del cosiddetto popolo delle partite Iva ha registrato, statisticamente, i risultati più preoccupanti. Il ceto medio produttivo, insomma, ha pagato più degli altri gli effetti negativi della crisi e ancora oggi fatica ad agganciare la ripresa».

Dunque  bisogna sperare che i prossimi governi trovino il modo (e i quattrini) per  rimediare al disastro dei governi da Monti in poi. I grillini propongono il reddito di cittadinanza, la Lega vuole abolire la Fornero e programmare altri interventi di carattere sociale, Forza Italia per ora cerca di guadagnare spazio in questo contesto non facile. Da ora in poi però il Pd, come suo solito, cercherà di ostacolare in ogni modo, attraverso sindacati e clientele ormai consolidate, l’attività di un gruppo politico eterogeneo che l’ha messo nell’angolo. Vedremo cosa verrà fuori, ma non sarà certo peggio di quello che abbiamo sperimentato finora.

 


Paolo Padoin

Già Prefetto di Firenze Mail

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