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Donald Trump e Kim: dalla guerra di Corea a pacche, sorrisi e accordi

Kim E Trump
Kim e Trump a Singapore

E’ come se fosse caduto un altro muro di Berlino. Settant’anni dopo la guerra di Corea, fra i due antichi nemici si sono registrati 42 minuti di sorrisi e pacche sulle spalle. Trump e King hanno fatto accordi concreti. Com’è stato possibile? Trump è uomo d’affari, più che uomo politico, e la sua concretezza dev’essere stata contagiosa per il suo interlocutore. Infatti, all’incontro storico sotto il patio del Capella Hotel, Kim Jong-un è apparso emozionato al cospetto del presidente americano, l’arcinemico nell’ortodossia della propaganda nordcoreana. E alla prima stretta di mano tra i leader di due Paesi che si sono combattuti, con le armi e con le invettive, Kim
non sembrava molto a suo agio, soprattutto quando il tycoon ha rafforzato il contatto col giovane leader poggiando brevemente la mano sinistra sul suo braccio destro. Una pacca che invece nel corso del summit è diventata la costante, insieme ai sorrisi, ai saluti ai media in attesa di dichiarazioni e ai vari siparietti in stile hollywoodiano.

NUCLEARE – La svolta, come ha raccontato lo stesso tycoon, è maturata nei 42 minuti netti di colloqui tra i due, con l’ausilio solo dei rispettivi interpreti. Il faccia a faccia è andato molto, molto bene, si è instaurata un’eccellente relazione, ha confidato il presidente Usa raggiungendo la stanza per il meeting allargato ai collaboratori più stretti. Qui Trump ha spiegato che con Kim «risolveremo un grande problema, un grande dilemma»: il riferimento al nucleare non ha smorzato il buonumore, come confermato dalle testimonianze raccolte dalle telecamere. Saluti, strette di mano e sorrisi. Nell’intervallo dei lavori, i due leader si sono affacciati verso i giornalisti per un battuta («Fateci sembrare magri e belli», si è raccomandato Trump con i fotografi): hanno fatto due passi per annunciare la firma della dichiarazione congiunta e poi, pacche sulle spalle, si sono avviati verso l’ingresso dell’hotel. Qui la limousine presidenziale Usa, the beast (la bestia), mezzo pesante, tecnologico e blindato, ha attirato l’attenzione del coreano. Trump lo ha accompagnato allo sportello tenendolo aperto e consentendogli di sbirciare. Ancora pacche sulle spalle e rientro nel resort per la firma.

PACCHE – Un funzionario della sicurezza nordcoreano, con guanti in lattice, ha pulito e ispezionato la penna appoggiata sul tavolo che doveva essere usata da Kim. L’ha controllata attentamente prima di riposizionarla. Dopo un po’, la porta si è aperta e i leader sono entrati con passo trionfale: si sono seduti e hanno posto la firma in calce ai documenti consegnati da Mike Pompeo per Trump e dalla sorella Kim Yo-jong, nel caso del supremo leader. Poche battute e commenti, e soddisfatti si sono diretti verso la porta. Kim ha dato una pacca sulla schiena di Trump che, sorpreso, ha restituito la cortesia. L’allievo ha superato il maestro.

FUTURO – Bene. Importante è che quelle firme, e quelle pacche sulle spalle, siano state davvero il viatico per abbattere muri, anche ideologici, e per un futuro senza bottoni (io ce l’ho più grosso, disse in modo non elegante Trump…) e con scambi capaci anche di migliorare le condizioni di vita dei nordcoreani, ancora molto indietro rispetto ai vicini di casa di Seul. Perchè vedete, i sudditi di Kim sono rimasti, almeno nell’immaginario collettivo nostrano, ai empi di Pak Do ik. Chi? Il dentista nordcoreano che sbattè fuori l’Italia dai Mondiali del 1966, con tanto di tragicommedia nazionale. L’Occidente è capace di provocare disastri, ma tecnologicamente è avanzato. E la tecnologia, in un Paese rimasto ingessato e interessato solo ad attrezzarsi con i missili, può far bene. Soprattutto alla salute.


Bennucci

Sandro Bennucci

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