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Economia: dopo l’estate tutti i nodi verranno al pettine. Manovra da oltre 22 miliardi

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Palazzo Chigi

Il Governo gialloverde vede in campo due coppie mal assortite. Da un lato i ciarlieri Di Maio e Salvini, vicepremier, che fanno a gara a chi le spara più grosse, senza tener conto eccessivo dei problemi di bilancio e dei vincoli dell’Ue. Dall’altra il ministro Tria e il sottosegretario alla Presidenza Giorgetti che, con la testa sulle spalle, invitano alla prudenza e a non tirare troppo la corda. Perché, seguendo la linea dei due vicepremier, rischieremo grosso nel periodo autunnale, quando la Ue cominceràa a fare le pulci ai Paesi non proprio virtuosi, fra cui l’Italia.

Perché quando si parla di conti da far quadrare, la coperta è sempre troppo corta: tiri da una parte, ma il rischio, inevitabile, è che qualche pezzo, anche importante, resti fuori. Luigi Di Maio tira dritto e afferma netto: «I vincoli di bilancio? Deve essere chiaro che reddito di cittadinanza e flat tax insieme alla abolizione della legge Fornero sono emergenze sociali. Si devono realizzare il prima possibile. Anzi, subito. Per quanto riguarda le coperture il governo chiederà all’Europa le stesse condizioni degli altri paesi. Non si tiene conto però che la manovra non parte da zero, ma parte zavorrata da circa 22 miliardi di spese inevitabili.

Lo ha rilevato il Sole24Ore, ricordando agli allegri governanti che, prima di mettere mano a riforma fiscale, reddito di cittadinanza, pensioni, sanità o rinnovi del contratto del pubblico impiego, solo per sminare le clausole Iva (12,4 miliardi), finanziare le spese obbligatorie (3,5) ed evitare che interessi sul debito (4) e minore crescita (2,5) gonfino il deficit, servono 22,4 miliardi. A meno di non caricare tutto il conto sull’indebitamento netto portandolo al 2% dallo 0,8% programmato.

Ma questa è un’ipotesi che il ministro Tria vorrebbe scongiurare, tanto che, ignorando gli sfarfallamenti del leader grillino, ha già avviato il confronto con la Ue per ottenere un obiettivo che non peggiori l’indebitamento strutturale ma non imponga misure giudicate troppo dure per un’economia già in sofferenza. Al centro del confronto spazi fiscali intorno agli 11 miliardi, per dimezzare lo sforzo di partenza.

Il governo, e quindi l’Italia, si giocano la faccia anche su altre importanti questioni che tengono banco in questi giorni: Tav, Tap, Ilva e Alitalia.

TAV – Dopo mesi di silenzio, la linea ad Alta Velocità Torino – Lione è tornata a conquistare le prime pagine di tutti i giornali. Bloccare la Tav? In realtà, numeri alla mano, sembra molto più semplice a dirsi che a farsi. Di mezzo, infatti, ci sono clausole contrattuali, accordi bilaterali, norme comunitarie con le quale bisogna fare, è proprio il caso di dirlo, i conti. E che conti. Sul piatto, soprattutto tanti soldi: l’uscita di scena dell’Italia costerebbe ai contribuenti qualcosa come 2 miliardi di euro, stima per difetto. Lo dicono i calcoli del commissario di governo per la realizzazione della Torino-Lione. La Commissione Ue, ha precisato che non potrà essere imposta una penalità dal 2 al 10% e nemmeno che Roma possa essere esclusa da ulteriori finanziamenti infrastrutturali. Bruxelles non esclude invece che potrebbe chiedere a Roma, in caso l’Italia uscisse dalla Tav, di rimborsare il contributo già erogato.

TAP – Potrebbe costare anche di più la rinuncia dell’Italia al gasdotto Tap, oggetto delle discussioni fra Trump e Conte: dai 15 miliardi stimati dal governo, ai 40 valutati dall’ente energetico azero.

ILVA – Senza dimenticare l’Ilva di Taranto, potenzialmente la più grande acciaieria d’Europa. La tensione è già alta: il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, ha disertato il vertice convocato dal ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio, contestando la scelta di estendere la partecipazione a 62 sigle, tra comitati e associazioni, alcune minoritarie e poco rappresentative.

ALITALIA – Ultima, ma non di certo per importanza, sul tavolo del governo gialloverde, c’è anche la questione Alitalia, mai risolta da tutti i precedenti governi, nonostante i proclami di Renzi. Un aiuto pitrebbe venire dalla circostanza che l’Unione europea sembrerebbe non chiudere le porte ad un possibile intervento dello Stato. Lo dice la commissaria Ue alla concorrenza, Margrethe Vestager secondo cui l’ex compagnia di bandiera italiana può anche essere in parte di proprietà pubblica purché lo Stato agisca come attore del mercato.

Si tratta comunque di questioni che richiedono soluzioni molto dispendiose per il bilancio dello Stato, e quindi prepariamoci a una manovra molto elevata, anche al di là dei soli 22 miliardi previsti per la copertura delle spese indispensabili. Alle quali i due vicepremier, soprattutto Di Maio, vorrebbero aggiungerne altre necessarie per non perdere la faccia rispetto alle grandi promesse della campagna elettorale. Finora quasi disattese. Renzi aveva promesso di ridurre le tasse e il risultato della fiscalità complessiva è stato un aumento della pressione fiscale. Il contratto del governo gialloverde prevedeva riduzioni derivanti soprattutto dalla flat tax, che è di là da venire. Tutti i politici sono buoni a far promesse, ma poi si sciontrano con la dura realtà quotidiana e con i vincoli europei. Che finora hanno giovato solo alla Germania, ma questo è un problema che nessun governo europeo, non solo italiano, è riuscito a risolvere.

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