Pensioni: il governo stravolge il ricalcolo col sistema contributivo per giustificare lo scippo ai pensionati d’oro

Il progetto di legge depositato da Lega e M5S potrebbe costituire un clamoroso autogol in caso di molti assegni cd d’oro se, come ha affermato Di Maio, si volesse colpire la parte di assegni che non corrisponde a quanto versato. In molti casi tale calcolo, fatto sulle cifre reali e non su astrusi calcoli attuariali, come ha proposto Boeri, determinerebbe, anzi un aumento di quanto goduto.
Nei mesi scorsi, l’Inps ha voluto aprire le porte sulle pensioni di molte categorie considerate privilegiate da Boeri, secondo le cui elucubrazioni costoro avrebbero, grazie al retributivo, pensioni grandemente superiori ai contributi versati, addirittura in alcuni casi del 40%. Purtroppo queste teorie strampalate del bocconiano professore hanno preso piede fra i populisti, sono state esaltate nei talk show nei quali giornalisti e politici hanno fatto a gara nello sferzare e condannare i pensionati d’oro. Colpevoli in fondo soltanto di aver fatto brillanti carriere nell’impiego pubblico e privato, di aver pagato tasse e contributi altissimi fino all’ultimo centesimo, di aver regalato in media 5 o 10 anni di versamenti. Visto che le pensioni sono calcolate su 40 anni di lavoro, mentre statali e magistrati arrivano ad accumularne fino a 50, regalandone 10 allo Stato patrigno dei vari Di Maio, Giorgetti, Salvini e Boeri.
Proprio Boeri si è dato la zappa addosso, questo testimonia della sua lungimiranza, facendo sul sito dell’Inps l’esame delle pensioni dei magistrati che, mediamente, sono d’importo superiore a 100mila euro l’anno. Bene. L’Inps e quindi il suo vanitoso e supponente presidente, ha dovuto riconoscere che «l’eventuale ricalcolo con il sistema contributivo non ridurrebbe di molto l’importo degli assegni perché tale metodo premia proprio chi accumula molti anni di contributi e ritarda il pensionamento» (nel caso dei magistrati in media fino al 70°anno).
Proprio così signori miei, nessuno ve l’ha spiegato, salvo il prof. Giuliano Cazzola in un documentatissimo articolo del 29 gennaio 2018, al quale facciamo pieno riferimento. Il sistema retributivo non è una sorta di Eldorado se messo a confronto col contributivo. Un lavoratore povero diventa un pensionato povero in ambedue i sistemi. Un lavoratore ad alto reddito, invece, è maggiormente penalizzato, sul piano del rendimento dei suoi contributi, dal calcolo retributivo che non da quello contributivo. Nel sistema retributivo, infatti, i lavoratori effettuano i versamenti sull’intera retribuzione percepita, ma il rendimento è pari al 2% per ogni anno di servizio fino a 45mila euro di stipendio. Per le quote eccedenti, invece, l’aliquota è decrescente (dal 2% fino allo 0,90%). In pratica il percettore di una retribuzione elevata che vada in quiescenza col retributivo e 40 anni di versamenti non percepisce l’80% canonico della retribuzione pensionabile, ma solo il 60%.
Nel retributivo, inoltre, la pensione è sottoposta ad un tetto massimo di 40 anni: quelli lavorati in più subiscono il prelievo sulla retribuzione, ma non fanno anzianità, sono regalati a Boeri, e adesso a Di Maio, che hanno intenzione di farne pessimo uso.
Nel regime contributivo, invece, contano tutti i versamenti effettuati: chi ha lavorato più a lungo percepisce una pensione migliore, perché il montante accreditato viene moltiplicato per un coefficiente di trasformazione più elevato in relazione all’età del pensionamento. I lavoratori con retribuzioni maggiori, peraltro, versano i contributi soltanto su un massimale attualmente di circa 100mila euro l’anno (al di sopra non sono previste ritenute e, ovviamente, le quote ulteriori non sono considerate retribuzione pensionabile, mentre viene favorita la loro allocazione ad una forma di previdenza complementare).
Ciò spiega perché sarebbero i redditi più elevati e le carriere più lunghe ad essere premiate (o quanto meno risparmiate) dal ricalcolo. ma questo non entra in testa ai vari Di Maio, Boeri e soci, che si intestardiscono nel privilegiare complicati calcoli attuariali inventati da loro e dai tecnici al loro servizio, che non rispondono per niente alle finalità che vorrebbero perseguire. Quelle di adeguare gli assegni ai reali versamenti effettuati nella vita lavorativa, il cui calcolo e la cui identificazione sono quasi impossibili da verificare, soprattutto per i periodi di contribuzione più antichi dei dipendenti pubblici.
E allora i calcoli e le proposte del giovin signore di Pomigliano d’Arco, che mai ha conosciuto lavoro, e del bocconiano professore messo sciaguratamente a capo dell’Inps da Renzi (un’altra delle idee sbagliate del rottamatore) dovrebbero cadere in base a queste fondate argomentazioni contabili e giuridiche di fronte alla giustizia amministrativa e contabile. Serbo qualche dubbio per i giudizi della Consulta e dalla Cedu, prone alle esigenze di real politik della tutela dei bilanci degli Stati, che spendono e spandono per esigenze non essenziali e vorrebbero risparmiare a spese dei pensionati per dare a chi non ha mai lavorato, mai versato contributi o evaso tasse e contributi con lavori in nero. Come succede in una buona parte dell’Italia, da Nord a Sud, che ha votato massicciamente i due partiti che adesso vogliono contraccambiare tanto entusiasmo con regalie, rese possibili dal sacrificio di categorie che certo reagiranno con tutti i mezzi a loro disposizione. Altro che equità sociale, come si cerca di far intendere ai gonzi interessati.
