L’Ilva, la Ceca e gli Eurocecati, riflessioni sulla politica dell’acciaio in Europa
Per far comprendere meglio la situazione dell’Ilva di Taranto, un interessante editoriale di Guido Salerno Aietta, dell’Agenzia teleborsa, ci illumina sul fatto che la situazione in cui si è venuta a trovare l’azienda, il secondo polo siderurgico europeo, è sintomatica dell’abbandono di tutti i principi che furono alla base, nel 1951, della cooperazione europea. Di cui per molti, soprattutto per i più giovani, e purtroppo anche per i nostri governanti, si sono perse le tracce
Sostiene Aietta che la situazione presente «è’ il risultato del mercatismo: un pasticcio infinito. Siamo in balìa di acquirenti insoddisfatti, di governi senza poteri, di banchieri d’acqua dolce, di sindacati divisi e di popolazioni esasperate, mentre le tutele giurisdizionali vengono assunte nel silenzio delle istituzioni.Dovrebbero aprire gli occhi coloro che non sanno, ma solo perché essendo troppo giovani non possono ricordare: perché siamo di fronte allo sfacelo degli ideali che portarono alla istituzione della Comunità europea.Si dovrebbero fare da parte, invece, coloro che tacciono colpevolmente, che seppelliscono senza pietà gli ideali di solidarietà tra gli Stati e di difesa dei Popoli, per incensare il Dio Mercato.
Questi sono i principi e gli obiettivi proclamati nel Trattato di Parigi del 1951, con cui fu istituita la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA):
La CECA ha la funzione di:
assicurare che tutti gli utilizzatori del mercato comune si trovino in pari condizioni ed abbiano un eguale accesso alle fonti di produzione;
contribuire all’incremento dell’occupazione ed all’elevazione del livello di vita negli Stati membri;
vigilare sul mantenimento di condizioni che inducano le imprese a perseguire una politica di sfruttamento razionale delle risorse naturali evitandone l’inconsiderato esaurimento;
promuovere, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della mano d’opera, consentendone la parificazione verso l’alto;
promuovere lo sviluppo degli scambi internazionali e vigilare sul rispetto di giusti limiti nei prezzi praticati sui mercati esteri.
Tutte le modifiche ai Trattati, a partire dalla fine degli anni Settanta, sono state all’insegna del mercatismo: la libera circolazione di merci, dei capitali e delle persone, sì anche delle persone perché sono come le merci, strumento della produzione!, è divenuta un tratto fondamentale, costitutivo della Comunità, trasformatasi in Unione.
Si è cominciato con l’Atto Unico del 1987 istitutivo del Mercato interno, poi con il divieto di aiuti di Stato alle imprese e di sostegno agli Stati da parte delle Banche centrali che furono introdotti con il Trattato di Maastricht del 1992, per arrivare al Trattato di Lisbona del 2008, che riassume tutto ciò che si è fatto per introdurre principi di concorrenza selvaggia, anche dentro l’Unione. Una concorrenza assurda nei costi del lavoro, nella tassazione delle imprese, nei livelli di protezione sociale e sanitaria dei lavoratori: le industrie europee si sono spostate nei Paesi ex-comunisti, approfittando della loro povertà per fare profitti. Inutile, poi, parlare delle importazioni europee di acciaio dalla Cina o dall’India: c’è da rabbrividire.
E, ora, quando Donald Trump mette i dazi sulle importazioni di acciaio, non fa altro che cercare di rimediare al collasso dell’industria americana: anche lì, è dagli anni Ottanta che la deindustrializzazione ha distrutto interi Stati. Prima si va in Messico con il NAFTA, e poi in Cina con il Wto!
In Europa, la libertà dei mercati ha prevalso sulla guida e sul controllo da parte degli Stati; gli squilibri commerciali infra Ue non sono mai stati eliminati perché anzi simboleggiavano le Virtù dei Forti.Siamo passati da uno squilibrio all’altro, dalle privatizzazioni alle liberalizzazioni, dagli abbattimenti delle frontiere per favorire la concorrenza alla rottamazione di interi comparti industriali. Ora, c’è sovrapproduzione dappertutto. Bisogna tagliare, chiudere gli stabilimenti, aggregarsi per non morire, vendersi per sopravvivere ancora qualche mese. Questa è la follia dei nostri tempi: se negli anni Cinquanta abbiamo cominciato ad abbattere le frontiere da allora abbiamo abbattuto tutti i vincoli che erano stati posti, per evitare che un mercato incontrollato portasse al massacro.
Rottamati tutti gli obiettivi della CEE: solidarietà, tutela dell’occupazione e dell’ambiente.
Dalla CECA agli Euro Cecati.»
Non posso che concordare con l’analisi illustrata sopra e mi rammarico che questa non sia stata ripresa dai grandi quotidiani, che straparlano dell’argomento.