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Contributo di solidarietà: sentenza della Consulta, le amare riflessioni di un pensionato

Abbiamo più volte trattato le pronunce della Consulta in tema di contributo di solidarietà, censurando soprattutto l’ultima, che ha sostanzialmente confermato la legittimità dell’operato del Governo. Ospitiamo adesso le riflessioni di un pensionato, colpito anche lui dal maglio della Consulta(*):

«In linea generale non può farsi a meno di cogliere i segni di una logica non del tutto lineare nello svolgersi del ragionamento complessivo che culmina nell’effetto finale della dichiarazione di non fondatezza (parziale) della questione di legittimità dell’art. 1, comma 261, della legge 145/18.

Il punto cardine sul quale poggia la linea argomentativa della sentenza è il limite temporale del bilancio triennale dello Stato, periodo entro il quale ogni intervento “deve essere scrutinato nella sua singolarità ed in relazione al quadro storico in cui si inserisce” (para, 15.4.2 e para 18.12). Si confina così la valutazione del prelievo nei limiti dell’ordinaria scansione temporale del ciclo del bilancio triennale in cui vengono definite le esigenze e le misure finanziarie ritenute necessarie per quel periodo.

Il riferimento ad un “quadro storico” avrebbe dovuto comportare un orizzonte temporale ben superiore ad un triennio: la “storia” dei contributi di solidarietà è andata e va assai oltre la vigenza temporale di un singolo bilancio triennale. Sembra di essere di fronte ad una artificiosa frammentazione del continuum del tempo e della storia in segmenti indipendenti refrattari ad ogni influenza degli eventi verificatisi in precedenza.

Compare una forma, non nuova , di sottile ostinazione a considerare il succedersi dei prelievi nel tempo come elemento ininfluente di valutazione. Limitando ad un triennio l’esame della misura ablativa è agevole sostenere la tollerabilità di un prelievo di durata relativamente breve su pensioni ritenute con sufficiente capacità di resistenza e la sua ragionevolezza e adeguatezza a fronte della perdurante prevalenza delle esigenze di garanzia del sistema previdenziale nel complessivo scrutinio di costituzionalità.

La tesi che esclude, nel quadro dello scrutinio di legittimità, la rilevanza della ripetizione dei contributi si basa sulla mancanza di identità formale delle singole fattispecie (leggi diverse, differenti periodi di applicazione, saltuarie interruzioni, diversi scaglioni ed aliquote, ecc…). Non tiene conto dell’essenza fondante dei contributi, tutti prelievi coattivi per esigenze pubbliche previdenziali a carico di una ristretta categoria di cittadini, effettuati per periodi consecutivi o a cadenza ravvicinata per oltre due decenni (dal 2000 i trattamenti sono stati decurtati per sedici anni su venti con prelievi di varia denominazione e misura).

Le obiezioni decadono nella visione rigidamente confinata nei limiti del bilancio 2019-2021.

2. Nella sentenza le carenze del sistema previdenziale sono considerate non sanabili nel giro di pochi anni. Si afferma che “occorre evidenziare l’esistenza di una “debolezza sistemica” difficilmente governabile per il tramite degli interventi necessariamente temporanei, per di più operati soltanto su redditi pensionistici ormai consolidati” (para. 18.12). Da questa valutazione è agevole dedurre che la perdurante debolezza del sistema previdenziale continuerà a comportare, in mancanza di una rivisitazione organica del sistema, una assidua e facile attenzione del legislatore nei confronti dei maggiori redditi di pensione con interventi impropriamente sostitutivi della fiscalità generale.

Tuttavia nella stessa sentenza viene osservato che sarebbe costituzionalmente illegittima una dimensione “temporale del prelievo così ampia da tradire una logica di stabilità del contributo” (para. 18.4). Da questa osservazione, che riecheggia un principio precedentemente affermato nella sentenza 173/16, la Corte fa discendere l’illegittimità della durata quinquennale del contributo da ricondurre nell’alveo della correttezza costituzionale per mezzo della sua riduzione a tre anni. Se la durata quinquennale è ritenuta rivelatrice del carattere stabile del contributo, il ragionamento dovrebbe valere con maggiore evidenza per i periodi coperti dal succedersi di prelievi ripetuti in un “quadro storico” più prolungato, anche questo rivelatore di “una logica di stabilità”. Contraddittoriamente, invece, non si completa quel percorso logico che ha condotto alla riduzione temporale della misura e che avrebbe dovuto portare alla illegittimità costituzionale del contributo, non solo della sua durata.

3. La limitazione all’orizzonte temporale del bilancio triennale entro cui valutare la correttezza costituzionale del prelievo riveste un aspetto singolarmente innovativo. Appare come un ardito balzo in avanti che supera il pesante condizionamento dei criteri di scrutinio elaborati in precedenza dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n.173 del 2016 che, nella loro insistita formulazione analitica, costituivano una sorta di decalogo prefigurante un “modello” costituzionalmente plausibile di contributo di solidarietà. Pur non essendo invocabile la regola dello “stare decisis”, la Corte sembra rimasta refrattaria all’ efficacia persuasiva del precedente, frutto di un’analisi approfondita e completa di tutti gli aspetti rilevanti della questione. Traspare, piuttosto che un adattamento flessibile del precedente, una sua non argomentata elusione nella parte più significativa che presentava una forza, in certo modo, prescrittiva. Sono rimaste in ombra le ragioni per cui si è ritenuto di discostarsi da quella pronuncia , salvo il richiamo alle esigenze legate alla crisi “attuale” e “grave” del sistema previdenziale che, in questo come in altri casi, vengono presentate come munite di una preponderanza assoluta, “tirannica”, nel bilanciamento con le altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette presenti nel giudizio come, tra le altre, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica di situazioni legittimamente maturate e consolidate.

Nella sentenza 173/16 era stata indicata una pluralità di requisiti di cui tenere conto per valutare la legittimità del contributo, tra i quali, il carattere di “misura del tutto eccezionale”, “contingente, straordinaria, temporalmente circoscritta” “nel senso che non può essere ripetitiva e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema di previdenza” e deve “essere comunque utilizzata come misura “una tantum”. Si affermava anche espressamente (ad abundantiam) che deve rispettare il principio di proporzionalità . In quella pronuncia detti requisiti apparivano rispettati sia pure “al limite”.

Il confronto diretto con quelle indicazioni è stato schivato grazie all’ innovativo carattere di scrutinio limitato alla proiezione triennale del bilancio. Tuttavia, il principio di proporzionalità restava ineludibile ed operante indipendentemente dall’ambito temporale di riferimento e idoneo a condurre verso la fondatezza del dubbio di costituzionalità. Sotto questo profilo non si rinvengono le ragioni per le quali sia stato ritenuto equilibrato il rapporto del mezzo (imposizione del pesante onere) al fine (apprezzabili vantaggi dei soggetti INPS più deboli, grado di ausilio al sistema previdenziale) .E’ trascurata la valutazione della misura dei possibili benefici conseguenti al prelievo che, a fronte degli 80 milioni di euro annui stimati derivanti dal forte sacrificio individuale dei soggetti incisi, si riducono ad un vantaggio simbolico e irrisorio per la nutrita platea dei potenziali destinatari della iniziativa legislativa che rivela così una “inefficacia strumentale” mancando di dimensioni sufficienti anche per un riequilibrio parziale e momentaneo del sistema previdenziale.

Nella stessa pronuncia sembra darsi atto di questa situazione, da un lato, quando si riferisce ad “aliquote di riduzione piuttosto severe” (p. 18.4) e ad un “sacrificio… …personalmente gravoso anche in ragione del succedersi di ripetuti prelievi nei due trascorsi decenni” (p. 18.12) e, dall’altro, quando riconosce che la provvista finanziaria derivante dal contributo risulta “di assai modesta entità ” (p. 18.11).

Un intervento presentato come equitativo e riequilibratore non può limitarsi a realizzare la sola parte ablativa del progetto. La “pars destruens” non può non essere accompagnata da una adeguata “pars construens” a meno di non compromettere la ragionevolezza e la proporzionalità dell’intervento.

La giurisprudenza ha concepito una sorta di “test di proporzionalità” che esplora il rapporto costi-benefici come elemento rivelatore dei requisiti di ragionevolezza e proporzionalità propedeutico allo scrutinio di costituzionalità.

Nella logica assolutoria della sentenza, da qualche parte definita “indulgente”, il criterio del bilanciamento dei contrapposti interessi di rango costituzionale concretamente adottato dal legislatore sembra rimasto privo di evidenza.

Da ultimo una osservazione, che dovrebbe precedere tutte le altre, riguardante il punto focale della pronuncia; la discutibile riconduzione della valutazione della misura nell’ambito temporale del bilancio triennale.

In effetti, dalla sentenza emerge un tipo di bilanciamento anomalo che contrappone con successo la forza del quadro triennale del bilancio stabilito con legge ordinaria agli interessi costituzionalmente protetti presenti nel giudizio, attribuendo implicitamente a norme di una fonte ordinaria la prevalenza rispetto alle disposizioni della Carta che tutelano quelli interessi. Tale osservazione finale appare assorbente di ogni altro possibile commento.

4. Il ragionamento sviluppato nella parte motiva della sentenza, se riguardato nelle sue logiche conseguenze pratiche, appare foriero di ipotesi peggiorative della situazione futura dei pensionati incisi dalla misura in corso. Non viene contestata, infatti, la legittimità del prelievo in sé ma soltanto la sua durata che supera il quadro triennale dello strumento contabile 2019-2021: quindi prelievo legittimo valutato “singulatim” in un ambito temporale limitato per esigenze finanziarie proprie di quel periodo.

In questa ottica si avanza l’ipotesi non peregrina che in occasione di ogni bilancio, in relazione alla crisi permanente del settore previdenziale, il legislatore predisponga un appuntamento ablativo per le pensioni più alte.

5. La sentenza non si è soffermata su alcuni aspetti delle norme censurate che gli organi rimettenti avevano diffusamente illustrato per dedurne puntuali e motivati dubbi di legittimità riferiti a specifiche disposizioni della Costituzione. Era stata sottolineata l’irrazionale differenza di trattamento tra pensioni retributive e pensioni contributive non avendo il legislatore tenuto conto delle anzianità di servizio e del relativo ammontare dei contributi versati. Molti pensionati con metodo retributivo hanno al proprio attivo contributi per oltre quaranta anni che costituiscono, già di per sé, “contributi di solidarietà” non incidenti sull’ammontare delle loro pensioni. Da qui si era prospettata l’irragionevole penalizzazione di coloro che hanno già contribuito in varia misura alla solidarietà endoprevidenziale senza alcun vantaggio personale. Il ricalcolo delle pensioni retributive con il metodo contributivo avrebbe condotto, con tutta probabilità, a trattamenti almeno non inferiori a quelli retributivi per molti soggetti interessati.

Sotto questo profilo, la scelta apodittica del legislatore non ha consentito di comprendere se e in quale misura la titolarità della pensione contributiva giustifichi l’esenzione dal prelievo e la differenza di trattamento. Si è trascurato che l’invocato principio della solidarietà endoprevidenziale avrebbe dovuto portare a ridurre anche i trattamenti pensionistici contributivi di pari livello di quello dei pensionati incisi, entrambi parte del circuito previdenziale. Il raggiungimento del fine dell’equità riequilibratrice è rimasto tutto da dimostrare.

Non ha avuto rilievo la contraddizione relativa, da un lato, all’’esclusione dal prelievo dei trattamenti pensionistici (anche misti e retributivi) riconosciuti ai superstiti e, dall’altro, all’applicazione del contributo alle pensioni a carico della Gestione separata dell’INPS interamente liquidate con il metodo contributivo.

Queste argomentazioni, tendenti a supportare i dubbi di costituzionalità sollevati sotto il profilo della irragionevolezza e della disparità di trattamento dell’intervento legislativo, hanno trovato solo risposte assertive o parziali.

6. Altro punto sul quale sembra mancare una motivata valutazione riguarda la questione delle pensioni “miste”- Le pensioni in parte contributive e in parte retributive soggiacciono al trattamento di quelle interamente retributive. Ciò sembra contraddire il criterio generale di selezione adottato dalla stessa norma istitutiva della misura riduttiva, norma intesa a far salvi gli emolumenti calcolati su base contributiva. Aspetto, questo, che appare irragionevole e contrario al principio di eguaglianza. La questione non è secondaria nel panorama pensionistico considerato che larga parte delle pensioni ordinarie in atto sono di natura mista ed i loro titolari sono stati soggetti per periodi di tempo non indifferenti al regime contributivo. Anche questo punto problematico non è stato affrontato nella sentenza. Si soggiunge che, come conseguenza della impostazione complessiva della normativa esaminata, forse sarebbe stato possibile costruire (da parte dei giudici di merito?) una interpretazione costituzionalmente orientata all’applicazione della misura riduttiva alla sola parte retributiva dei trattamenti misti.

7. Alcune considerazioni generali suggerite dalla problematica sollevata dalla legge censurata.

La sistemazione delle finanze previdenziali non potrà raggiungersi se non con una riforma organica del sistema, in particolare con l’assunzione totale e definitiva da parte della collettività del finanziamento del vasto settore assistenziale superando i periodici trasferimenti statali di sostegno per via legislativa.

E ’probabile che, fino ad allora, alla categoria dei pensionati con trattamenti maggiori resterà un ruolo obbligatorio di potenziale “cassa di riserva”, peraltro con effetti, per forza di cose, pressoché irrilevanti per il complesso delle esigenze previdenziali.

In una visione più generale si dovrebbe evitare il sorgere ed il consolidarsi di certi orientamenti secondo cui sia consentito imporre sacrifici, più o meno pesanti, ad una cerchia ristretta di soggetti senza vantaggi apprezzabili per altri interessi protetti. Trasparirebbe, più che un fine diretto a soddisfare interessi pubblici, piuttosto un intento di perseguire di preferenza determinate categorie di cittadini prescindendo dagli effetti positivi delle iniziative a loro carico.

Così come avviene nel caso del prelievo sulle pensioni maggiori ove all’iniziativa politica non è estranea una componente ideologica che fa pensare che lo scopo primo non sia tanto quello del soccorso al sistema previdenziale ed ai suoi soggetti più deboli, quanto quello di colpire le pensioni più alte ritenute ingiustificato privilegio.

Si coglie a volte un atteggiamento avverso al successo professionale ed al benessere economico, anche quello relativo, raggiunti dopo anni ed anni di impegno e di lavoro con ruoli di alta responsabilità.

Diverso sarebbe il giudizio qualora nell’ambito delle scelte politiche discrezionali del legislatore i sacrifici fossero distribuiti tra tutti i cittadini con metodo progressivo in relazione al reddito individuale di ciascuno»

Giulio Maninchedda prefetto a.r.

(*) Articolo tratto dalla rivista scientifica “Amministrazione e Contabilità pubblica dello Stato e degli enti pubblici”  diretta da Salvatore Sfrecola (dicembre 2020).

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