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Recovery Fund: uno strumento della Ue per aumentare il suo potere sugli Stati

Commissione Ue

ROMA – Anche in questi momenti di crisi di governo, tutte le attenzioni sono rivolte a una rapida soluzione e alla creazione di un governo forte e autorevole per non perdere le risorse europee, i famosi 209 miliardi del Recovery Fund.

Ma se si va a analizzare bene questo strumento che l’Europa mette a disposizione degli Stati, in particolare di quelli malmessi come l’Italia, si scopre che non si tratta assolutamente di beneficienza da parte della Ue, ma alla fin fine di un ulteriore strumento per aumentare il controllo europeo sulla politica degli Stati membri. Lo sostiene, con ottimi argomenti, Guido Salerno Aletta, Editorialista dell’Agenzia Teleborsa. Ecco le sue argomentazioni:

«E’ un gioco ad incastro, quello che è stato messo in moto con il Recovery Fund, il programma più significativo del Next Generation UE (NGUE): serve solo per aumentare il potere di direzione e controllo dell’Unione europea sugli Stati. Un altro surrettizio trasferimento di sovranità, ceduta senza neppure fare i conti esatti di quanto ci verrebbe concesso.

Da una parte, infatti, sono previste somme a fondo perduto, Grant: saranno dei trasferimenti, come quelli del FESR (Fondo europeo di sviluppo regionale) che non sono altro che la restituzione di una quota delle somme che vengono versate dall’Italia attraverso il prelievo delle “risorse proprie” dell’Unione. L’Italia è stata sempre un contribuente netto, da decenni: paga più di quanto riceve.

Del nuovo quadro finanziario settennale 2021-2027, ancora non approvato, non è chiaro quali siano i contributi ulteriori che dovremo versare, perché il bilancio dell’Unione si è fatto più consistente: ci sono gli aumenti della componente IVA e due nuove tasse, quella sul CO2 e sulla plastica non riciclata.

E non è ancora stato formulato definitivamente il quadro finanziario del NGUE: anche qui, c’è una componente di entrate fiscali da versare all’Unione.

In aggiunta, ci sono i prestiti, Loan, che sarebbero una sorta di generoso riconoscimento della situazione di difficoltà in cui si trova l’Italia: sono risorse da restituire, per un ammontare superiore a quella che è il peso del PIL italiano rispetto al complesso dell’Unione. Si dice che il vantaggio risiede nel fatto che le condizioni a cui verrebbero concessi sarebbe migliore di quelle a cui oggi accediamo direttamente sui mercati emettendo titoli del debito pubblico italiano. Anche questa è una mera supposizione, perché nel momento in cui l’Unione europea comincerà ad emettere propri titoli sul mercato, questi avranno sicuramente la preferenza degli investitori. Di conseguenza, tutte le altre emissioni italiane potrebbero essere penalizzate. Se per un verso pagheremmo di meno sui prestiti erogati dall’Unione, potremmo rimetterci assai sulle nostre emissioni. E’ un calcolo che va fatto.

Come se non bastasse, l’Unione pretende una serie di garanzie sulla trasparenza, l’efficacia e la tempestività della spesa: è la cosiddetta questione della governance, ancora irrisolta. Non è ancora chiaro chi e come dovrà occuparsi di garantire questi requisiti richiesti da Bruxelles.

Il vero rischio è di creare in Italia un sistema parallelo di decisioni politiche ed amministrative che rispondono alle esigenze di Bruxelles e di mandare al macero tutto il resto, considerato inefficiente, corrotto, inaffidabile.

Ci sarebbe una sorta di Best Italy sotto controllo europeo, ed una Bad Italy da mandare al macero. La prima avrebbe la legittimazione di Bruxelles, perché lavorerebbe sotto la sua diretta vigilanza, la seconda rappresenterebbe il vecchio mondo italiano che non vale la pena di riformare. E’ questo il modo con cui Bruxelles ci sta obbligando a cedere altre quote di sovranità politica ed amministrativa. Un sistema parallelo porta l’Italia sotto il controllo dell’Unione».

Una lucida rappresentazione della realtà, in barba a quanto sostengono i vari Gentiloni, Mattarella, Prodi e vari europeisti interessati soprattutto a conservare il potere,

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