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Quirinale: Draghi in pole, ma il governo cadrebbe. Centrodestra: rilancio dopo Berlusconi. Letta disorientato

ROMA – L’appuntamento è per il pomeriggio del 24 gennaio 2022, alle 15: prima votazione, a Montecitorio, per eleggere il nuovo Capo dello Stato. Tutto pronto, tranne il nome di un candidato che possa avere il consenso unanime. Partiti, per ora, in ordine sparso. Il più spaesato è il Pd: soprattutto il suo segretario, Enrico Letta. Che non un nme sendibile: si attacca a Mario Draghi, ma sa che il Movimento 5 Stelle non lo segue perchè teme che cada il governo e si vada a votare prima del tempo. Ai grillini, e anche agli altri eletti nel M5S nel 2018 eppo confluiti nel Gruppo misto o altrove, le elezioni fano paura: perchè perderebbero seggio ed emolumento prima della scadenza naturale del 2023. Nemmeno l’area Pd che fa capo a Franceschini vuole che Draghi lasci Palazzo Chigi. Così come frenano Salvini e lo stesso Berlusconi, i quali perà, insieme alla Meloni, si riservano di rilanciare un candidato di Centrodestra: Elisabetta Casellati aspetta che le chiedano se vuole candidarsi. Poi vengono rilanciati, soprattutto da sinistra, i nomi di Giulano Amato e Pier Ferdinando Casini, ma sembrano quelli che entrano in conclave virualmente Papa ma ne escono cardinali.

DRAGHI – Per ora non sembrano comparire, nei ragionamenti dei partiti, nomi alternativi a Draghi, in grado di mettere d’accordo l’intera maggioranza, che non siano quelli, appunto, Casini o Amato. Ma su Amato, profilo considerato della caratura dell’attuale premier, peserebbe una contrarietà difficilmente superabile del Centrodestra. E le quotazioni di Casini, dopo essere salite per giorni , nelle ultime ore sarebbero in discesa: l’ex presidente della Camera potrebbe essere votato, è vero, da tutti alla quarta votazione, incluso forse anche il M5s, ma non è il nome che Salvini per ora vuole mettere in campo e non vuole farlo Enrico Letta, che lavora per Draghi. Casini potrebbe essere il candidato centrista, di Matteo Renzi, ma è difficile che nasca da lì la candidatura unitaria. E poi, quali ripercussioni avrebbe sul governo? Se la maggioranza si spaccasse nel voto per il Colle, l’esecutivo cadrebbe: Draghi è stato chiaro. Se invece Casini fosse presidente unitario e il governo andasse avanti la sua azione resterebbe, osserva una fonte Dem, comunque azzoppata, nessun rilancio sarebbe possibile, non ci sarebbe rimpasto, resterebbe il forte rischio di elezioni anticipate tra qualche mese.

MATTARELLA – C’è anche la soluzione gattopardesca: cambiare per non cambiare. Ossia sperare nel Mattarella bis. Ecco perché c’è chi, apertamente come fa Renzi o per canali informali nei colloqui che si susseguono, chiede a Draghi di prendere un’iniziativa politica che indichi la strada del nuovo governo in caso di sua elezione al Colle. Ad esempio? Nominare – dice una fonte renziana – un vicepremier che poi traghetti la transizione e guidi il nuovo governo. Ma nulla del genere sembra per ora avere in mente il presidente del Consiglio: quello che aveva da dire sul prosieguo della legislatura l’ha detto il 22 dicembre. Ora non può autocandidarsi, osserva chi gli è vicino: semmai dovranno essere i leader dei partiti a proporre, se vorranno, la sua candidatura. Draghi ha passato la domenica a Città della Pieve, ma sarà a Palazzo Chigi mentre i grandi elettori confluiranno a Montecitorio per il primo scrutinio. L’agenda del governo, questa settimana, è vuota, salvo emergenze, come vuole la tradizione quando c’è l’elezione del capo dello Stato. Da sinistra lo descrivono assai irritato per essere stato tirato nella mischia sabato da Forza Italia, con il no al suo trasloco al Colle e il no a un rimpasto di governo. Da Palazzo Chigi diffidano dall’attribuire stati d’animo al premier per motivi di parte e raccontano che lui è tranquillo, nessuna irritazione. Ma fonti di centrodestra raccontano lo stupore del premier per un’uscita così netta di Fi, dal momento che fino a poche ore prima gli ambasciatori assicuravano che non ci sarebbe stata nessuna preclusione.

SALVINI – Renato Brunetta avrebbe spiegato che di Draghi non si è discusso nella riunione dei vertici di Fi con i ministri e i sottosegretari azzurri. La domenica è passata tra le prove muscolari dei partiti, nello stallo completo. Salvini prende tempo e non fa rose di nomi: nell’attesa di capire se misurarsi su un candidato come Marcello Pera alla quarta votazione, con il rischio però di bruciarsi, come fece Bersani con Prodi. Letta rilancia Andrea Riccardi, un profilo della società civile super partes, pescandolo dalla terna fatta circolare da Conte. E Conte, che ha fatto trapelare i suoi dubbi su Draghi, riunisce un M5s in subbuglio, dove c’è chi come Di Maio per il premier è pronto a spendersi. Dal Movimento cresce il nome di Elisabetta Belloni, come possibile presidente della Repubblica, ma non si può – obietta più d’uno – eleggere al Quirinale il capo dei Servizi segreti. Ma a proposito di segreti e misteri, il Centrodestra si dichiara pronto alla sorpresona. Tutti sono incuriositi. Ma Enrico Letta trema.

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Sandro Bennucci

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