Un milione di russi in fuga dalla guerra di Putin. Istanbul apre le porte
E’ la grande fuga. Da che cosa? Dalla guerra di Putin, che i russi non vogliono più anche se capiscono la difficoltà di sfidare il Cremlino. Allora via, si prova a scappare. Secondo l’Ong, che ha sedi anche in Armenia, Kazakhstan e Polonia, sono in tutto tra un milione e un milione e mezzo i cittadini russi fuggiti dal Paese a causa della guerra. “Alcuni vanno e vengono, altri si spostano in vari Paesi e per questo non è facile capire quanti di preciso siano scappati”, sottolinea Eva Roporot, accademica di Mosca trentenne che lavora presso la sede di Istanbul dell’Arca di Noè, associazione non profit fondata da dissidenti russi e finanziata da donazioni, che si occupa di aiutare i fuggitivi nei Paesi in cui arrivano. Mentre un articolo pubblicato in ottobre da Forbes Russia, e contestato dal Cremlino, parlava di oltre 700mila esuli fuggiti dopo il conflitto.
TURCHIA – “Offriamo servizi di vario tipo: informazioni sui Paesi dove i russi possono entrare senza bisogno di visti, assistenza legale, spieghiamo dove possono fare domanda per ottenere asilo politico e abbiamo anche affittato appartamenti dove ospitiamo temporaneamente chi scappa”. Dopo la chiusura delle frontiere di vari Paesi europei, “dove molti speravano di andare”, tanti russi hanno scelto di fuggire in Turchia, dove all’entrata ricevono un visto di 60 giorni, rinnovabile per altri 30 se escono e rientrano nel Paese.
GIORNALISTI – “Ci sono giornalisti che fuggono perché hanno perso il lavoro, c’è chi scappa semplicemente perché si oppone alla guerra e al presidente Vladimir Putin e ultimamente anche molti uomini che non volevano andare a combattere dopo la mobilitazione annunciata in settembre”. Secondo l’Ong, il numero di richieste per permessi di soggiorno annuali da parte dei russi in Turchia è aumentato nel 2022 di oltre il 360% rispetto all’anno scorso. “Molti qui si sentono in una sorta di limbo, non è una democrazia pienamente funzionante e il presidente Recep Tayyip Erdogan parla con Kiev ma anche con Mosca”, afferma Roporot denunciando che molti russi a Istanbul temono che il Cremlino possa chiedere alla Turchia il rimpatrio forzato, sulla base di motivi politici, per alcuni di loro già noti in patria come dissidenti.
LAVORO – “Il problema principale per chi arriva è trovare lavoro, c’è la barriera linguistica e la situazione economica non è molto stabile”, spiega Roporot. Molti degli esuli hanno problemi perché i circuiti di pagamento russi hanno subito limitazioni, c’è chi riesce a lavorare a distanza, grazie a impieghi che non richiedono una presenza fisica in Russia, mentre altri sono riusciti a continuare la loro carriera artistica, come Oxxxymiron, rapper anti Putin arrivato a Istanbul dove continua a produrre musica con un messaggio contro la guerra. L’Arca di Noè non fornisce solo aiuti pratici ma organizza anche attività culturali per la comunità degli esuli.
CREMLINO – La scorsa settimana è stato proiettato “Il trauma del testimone”, documentario sui russi fuggiti a Istanbul, diretto da Taya Zubova, lei stessa scappata in Turchia. Gli spettatori erano un centinaio, quasi tutti russi, ma alla fine ha preso la parola anche Kristina, giovane ucraina che, in lacrime, ha ringraziato i presenti per essere dalla parte di Kiev. Alcuni di loro infatti avevano partecipato poco prima al sit-in di protesta quotidiano della comunità ucraina davanti al Consolato di Mosca. “Poco dopo il mio arrivo mi hanno chiamato dalla Russia per dirmi che era arrivata la convocazione per andare al fronte”, dice Serghei, cittadino russo, ma con genitori di origine ucraina, scappato non appena ha sentito parlare di mobilitazione. “Quando la guerra è iniziata sono andato dalla mia famiglia in Lugansk, per cercare di proteggerli ma nei mesi successivi ho scelto di fuggire perché rischiavo di essere assoldato dalla nuova amministrazione filo russa per andare a combattere contro il mio popolo”, racconta invece Igor, uno degli ucraini presenti alla manifestazione. Anche lui uno in fuga. In attesa che la guerra finisca. E, magari, anche che cambi qualcosa (o qualcuno) al Cremlino.