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Porti europei e italiani. Crescono i timori per la penetrazione cinese. Ma la Ue non se ne cura

Dal sito Teleborsa, ripreso anche dal quotidiano Repubblica, sono state sottolineate le recenti preoccupazioni per l’influenza cinese sulle imprese e infrastrutture europee, che si sono riaccese nelle scorse settimane dopo due episodi che hanno riguardato la Germania e hanno evidenziato la debolezza delle strategie commerciali e geopolitiche dell’Unione europea.

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha prima concesso al colosso navale cinese Cosco di acquistare una partecipazione in un terminal del porto più grande del paese, Amburgo, e poi si è recato a Pechino accompagnato dal gotha delle multinazionali tedesche, diventando il primo leader del G7 e dell’UE a visitare la Cina dallo scoppio della pandemia.

Il 26 ottobre il governo tedesco ha consentito al conglomerato marittimo statale cinese Cosco di acquistare una partecipazione del 24,9% in uno dei terminal portuali di Amburgo, il terzo porto europeo per volumi in transito dopo Rotterdam e Anversa e il primo della Germania. L’investimento approvato è inferiore alla quota del 35% inizialmente prevista, alla quale il colosso marittimo e la società di logistica HHLA (che controlla il porto) aveva puntato, e non dà a Cosco alcuna voce in capitolo nella gestione o nelle decisioni strategiche.

Negli anni la Cina è diventata il più grande costruttore navale del mondo, rappresentando circa il 41% della produzione globale nel 2021, secondo dati UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development). Inoltre, è il più grande commerciante marittimo del mondo, con il suo traffico portuale che rappresenta il 32% del traffico portuale totale del mondo. Lo stato cinese, principalmente attraverso COSCO e China Merchants, controlla il 18% della capacità mondiale delle linee di container, circa il 13% della capacità di trasporto mondiale di GNL e il 12 della capacità mondiale di petrolio greggio.

COMMISSIONE UE – Tutto ciò non sembra però essere in cima alla lista delle preoccupazioni delle istituzioni europee. “Mentre l’Europa ha evidenziato il suo desiderio di maggiore autonomia nei settori strategici, l’Unione europea ha fatto ben poco per rispondere alla crescita della Cina nel settore marittimo e alle sue ripercussioni sulla sicurezza – scrive Jonathan Holslag, professore di politica internazionale all’Université libre di Bruxelles e al Nato Defense College – Rispetto ad altri settori, come chip, energia e veicoli elettrici, il settore marittimo è molto meno prioritario”. La Commissione Ue di Ursula von der Leyen si preoccupa soprattutto di sostenere l’Ucraina e di combattere la Russia di Putin, ma sottovaluta il “pericolo cinese”. A suo tempo Prodi, presidente della Commissione in tempi passati, definì la Cina un’opportunità.

ITALIA – l’argomento è stato esaminato anche in Italia, dove il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), nell’ultima relazione annuale sulla sicurezza nazionale ed economica italiana, ha parlato delle infrastrutture portuali italiani come degli “asset strategici a rischio”, ricordando che “sono già state oggetto di attenzione da parte di attori stranieri. Si pensi ad esempio al caso delle interlocuzioni con il Governo cinese in occasione della sottoscrizione del Memorandum sulla Via della seta, che ha registrato anche un interesse per i porti di Savona-Vado Ligure, Venezia, Trieste, Napoli, Salerno e Taranto”. In realtà negli ultimi anni i cinesi della Cosco sono stati respinti in più occasioni quando hanno tentato di approcciare i porti italiani e anche gli annunci pre-pandemia su potenziali accordi per i terminal di Genova e Trieste non hanno avuto seguito.

La firma del Memorandum of Understanding sulla Belt and Road Initiative, nel marzo 2019 da parte dell’allora vice presidente del consiglio e ministro Luigi Di Maio, sollevò grandi discussioni sulla centralità dell’Italia nel progetto di espansione cinese e sulle opportunità o pericoli per le infrastrutture italiane. Le autorità portuali di Trieste e Genova firmarono infatti degli accordi di cooperazione con il gruppo cinese China Communications Construction Company (CCCC), una delle più grandi imprese mondiali del settore delle infrastrutture.

A quasi quattro anni di distanza, lo stravolgimento portato dal Covid e le vicende recenti della politica italiana potrebbero anche indurre qualche riflessione e decisione diversa.

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Ezzelino da Montepulico


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