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«Le memorie di Ivan Karamazov» di Umberto Orsini stregano il pubblico

Umberto Orsini nei panni di un Ivan Karamazov

FIRENZE – Da solo sul palco del Teatro Puccini di Firenze per 70 minuti (venerdì 25 e sabato 26 novembre), Umberto Orsini ha catturato il pubblico fin dalle prime battute col suo Le memorie di Ivan Karamazov, scritto a quattro mani con Luca Micheletti che ha curato la regia; da una coppia di baciati dalle Muse come loro, non poteva che uscire uno spettacolo affascinante. Orsini ha una voce ancora piena, ricca, una tecnica che non ha bisogno di microfoni per far arrivare il minimo sussurro in ogni angolo della sala (come notavano stupefatti alcuni ragazzi, probabilmente allievi di qualche scuola di teatro, all’uscita), un vigore che fa dimenticare gli 88 anni e quasi 9 mesi dell’attore e una profondità e un’immedesimazione che fanno invece risaltare il lungo lavoro, lo scavo fin nei meandri più reconditi del personaggio, lo studio lungo più di cinquant’anni. Umberto Orsini non recita Ivan Karamazov, è Ivan Karamazov fin da quando, nel 1969, riuscì a convincere lo sceneggiatore Diego Fabbri a dare più spazio al suo dialogo con Alioscia sul Grande Inquisitore, il poema non scritto ma interamente pensato da Ivan. La spuntò, tornò di nuovo sull’episodio, sempre in forma di dialogo, con La leggenda del Grande Inquisitore (che passò dalla Pergola di Firenze nel 2014), dove Ivan Karamazov era mostrato già maturo – è poco più di un ragazzo nel romanzo incompiuto di Fëdor Dostoevskij – e ci torna ancora con questo stupefacente monologo col supporto di pochi elementi scenici (ideati da Giacomo Andrico): al centro del palco c’è un vecchio polveroso tribunale in rovina, lo stesso del processo ai fratelli Karamazov di tanti anni prima, che nella scena clou, quella appunto del discorso che il Grande Inquisitore rivolge a Cristo che ha osato tornare sulla terra, si apre facendo comparire uno specchio (l’invettiva dell’Inquisitore, nella quale intende dimostrare che l’uomo è incapace di gestire la libertà che Cristo gli ha dato, è rivolta alla sua stessa immagine). La riflessione complessa e sfaccettata sulla religione cristiana, sulla fede, sulla libertà, sul potere della Chiesa e non solo è di Dostoevskij, la capacità di farne teatro e porgerla al pubblico senza banalizzarla e facendo sentire vivo e palpitante il personaggio di Ivan, che l’autore non ha voluto far suicidare e si trova così, sospeso, a riflettere in eterno su quel che lo arrovellava nel romanzo e che ancora può far arrovellare un essere pensante del XXI secolo, è di Umberto Orsini e della sua raffinatissima arte.

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