Messa di Natale 2022: l’omelia del cardinale Betori. “La dignità della persona va sempre difesa”
FIRENZE – Ecco il testo integrale dell’omelia pronuciata dall’arcivescovo di Firenze durante la messa della mattina di Natale 2022.
Il testo della lettera agli Ebrei proclamato in questa Messa del giorno di Natale ci aiuta a collocare la nascita tra noi del Figlio di Dio al centro di un lungo e articolato cammino, che ha origine nel mistero stesso di Dio. Il Figlio – ci viene rivelato – è «irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente» (Eb 1,3). Il senso di questa solenne definizione è chiaro: il Figlio è uguale al Padre, ne condivide in pienezza la natura divina – a lui solo il Padre può dire: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato» (Eb 1,5) –, ed è partecipe della sua azione di Creatore di tutto ciò che esiste: «mediante [lui] ha fatto anche il mondo» (Eb 1,2).
Il piccolo, indifeso e fragile Bambino, che nella notte abbiamo contemplato nella mangiatoia, è dunque Dio stesso, il principio ultimo di tutto, di ciascuno di noi e dell’intero creato. Nella notte di Betlemme l’infinito si è fatto finito, l’eterno si è posto nel tempo, Dio si è fatto uomo, la storia umana è stata ricreata da una presenza in grado di redimerla. La parola di Dio, che mai aveva abbandonato l’umanità, grazie ai profeti che ne orientavano il cammino e illuminavano il discernimento, ora è giunta a una comunicazione definitiva, perché la Parola, «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi», come ha annunciato il vangelo (Gv 1,14). Colui che «era presso Dio» e che «era Dio» (Gv 1,1) è diventato uomo, generato nel tempo, per farsi incontrare, contemplare, amare.
Persona divino-umana tra le persone umane Gesù fa risplendere a noi il volto del Padre e introduce l’umanità nella vita di Dio e quindi ci svela il nostro vero volto. Perché sta qui la grande sfida del Natale: guardare l’umanità del Figlio di Dio e riconoscendo in lui la pienezza dell’essere uomo prendere coscienza di come la dignità della persona umana viene invece violata e umiliata nel nostro mondo.
Lo è anzitutto quando la vita delle persone viene minacciata dalla violenza della guerra, in Ucraina e nei quasi altri sessanta paesi nel mondo in cui uomini e donne vengono uccisi nei conflitti che insanguinano la terra. Come non pensare ad esempio al Tigrai, allo Yemen, alla Siria? Come può l’umanità accettare che i sogni di un imperialismo nutrito di miti ideologici vogliano tentare di distruggere l’identità e la storia di un popolo? O come accettare che i fanatismi religiosi lacerino i popoli, che i conflitti etnici portino massacri e devastazioni, che la spartizione delle zone di influenza tra le grandi potenze faccia deflagrare conflitti locali, che la prevaricazione dei potenti distrugga le speranze degli umili, che la sete di guadagno di alcuni giunga a negare la vita dei deboli?
E non c’è solo la vita distrutta dalla violenza, ma anche quella umiliata da condizioni di ingiustizia, come accade nell’oscurantismo di ideologie che negano i diritti delle persone, nel non rispetto della dignità della donna, negli abusi sui minori, nella tratta delle persone, nel rifiuto dei migranti, nello sfruttamento dei lavoratori fino alla riduzione in schiavitù, nelle condizioni inumane delle carceri, nella marginalità a cui vengono condannati quanti non riescono a inserirsi nelle dinamiche sociali che difendono i garantiti, nella confusa babele di opinioni senza controllo che offuscano il giudizio e le coscienze di uomini e donne, specie dei giovani.
Un grido di vita buona sale dal mondo, ma trova così poco ascolto da chi ha in mano le sorti dei popoli. Lo dobbiamo denunciare con forza per rivendicare per tutti una vita dignitosa, soprattutto per chi è in condizioni estreme di vita, fino alla dipendenza vitale. La soluzione delle sofferenze umane non può essere il rifiuto della vita, quello che la non-lingua del politicamente corretto propone come la morte dignitosa, bensì la possibilità offerta a tutti di vivere in modo dignitoso, perché amati, anzitutto, e poi sorretti con adeguati sostegni, accompagnati e non abbandonati, come scienza e carità rendono possibile. Su questo vorrei fare un appello a chi ha responsabilità nella comunicazione: come si divulgano con dovizia di particolari e appassionata partecipazione le scelte di morte, così si narrino con onesta verità le storie di vita, quelle di malati e disabili che chiedono di vivere, di famiglie che li sostengono, di comunità che condividono e includono. È troppo chiedere una parità di trattamento nella divulgazione dei fatti?
Sarebbe però limitante trarre dal Natale solo un monito. Esso è ben più: è una speranza offerta al mondo.
Dio apre il suo volto a noi e noi possiamo contemplarlo nella concreta umanità di Gesù. Sta qui, nella possibilità di questo incontro, il fondamento di una grande speranza per l’umanità, quella di liberarsi dai suoi limiti e dai suoi tormenti per aprire prospettive di comunione e di pace. A garantire tali prospettive è Dio stesso, con la sua presenza.
Il Natale è il dono di Dio al mondo. Tra i doni che ci si scambia in questi giorni, il dono che non dovrebbe mancare è l’offerta di Gesù agli altri. Un’offerta che diventa possibile se noi per primi lo abbiamo accolto. La speranza nel mondo nasce là dove ogni persona si lascia trasformare dal dono di Gesù. Riflettere i suoi tratti su di noi è il segreto della vita buona. Quali siano questi tratti lo mostra il presepe di Betlemme: l’umiltà, l’essenzialità, l’accoglienza, la restituzione della dignità agli emarginati, gli affetti familiari, il dono di sé. Sono le condizioni dei poveri, che la nostra società del benessere dimentica e vuol far dimenticare, ma che sole ci possono salvare.
Questo è perciò il mio augurio in questo giorno di festa: il Natale di Gesù segni la rinascita dell’umano in noi e tra noi, perché tutti possano ricevere «grazia su grazia» (Gv 1,16), perché «la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1,17).