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Firenze: “Don Giovanni” debutta con successo per l’85° Maggio Musicale

Don Giovanni ANTEGENERALE © Michele Monasta Maggio Musicale Fiorentino 44
Don Giovanni (foto M. Monasta)

FIRENZE – Teatro pieno e molti applausi anche a scena aperta al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino per l’apertura della sezione lirica dell’85° Festival col «Don Giovanni» di Wolfgang Amadeus Mozart diretto da Zubin Mehta, come le altre tre edizioni andate in scena negli ultimi 33 anni al Maggio: perché, anche se pare incredibile, quest’opera di “ininterrotta perfezione”, come la giudicava a ragione Søren Kierkegaard, è molto più rara di quanto dovrebbe nei nostri cartelloni. Dopo la memorabile edizione del 1990 con Samuel Ramey e la regia di Jonathan Miller, è riapparsa solo nel 2005 e nel 2013 (in tutto il XX secolo, 9 volte, contro le 14 del XIX, come si rileva dalla tabella alla fine del saggio di Giovanni Vitali, nel programma di sala). Eppure è un’opera che piace sempre, anche al pubblico più giovane, uscito entusiasta dalla generale aperta agli under 30 col biglietto a 10 euro (un’iniziativa che dovrebbe essere presa più spesso, se non addirittura sempre). La rarità della sua programmazione è dunque un buon motivo per approfittare di una delle quattro repliche rimaste (mercoledì 3 e venerdì 12 maggio alle 19 – questa con sconto 40% soci Coop, solo in biglietteria e nei negozi Coop – e sabato 6 alle 15.30; già esaurita in ogni ordine di posti quella di martedì 9); a questo si aggiungono i bellissimi colori che la bacchetta del direttore onorario a vita tira fuori dall’orchestra del Maggio e il cast di livello complessivamente molto alto, con Luca Micheletti (Don Giovanni), Markus Werba (Leporello), Jessica Pratt (Donna Anna), Benedetta Torre (Zerlina), Anastasia Bartoli (Donna Elvira), Ruzil Gatin (Don Ottavio), oltre ai giovani Adriano Gramigni (il Commendatore) ed Eduardo Martínez (Masetto), rispettivamente ex-allievo e allievo in corso dell’Accademia del Maggio. Dello spettacolo di Giorgio Ferrara (la cui regia è ripresa qui da Stefania Grazioli) molti hanno parlato male al tempo del debutto a Spoleto (2017) e della ripresa a Torino, lamentando specialmente l’assenza, appunto, di idee di regia; ma, considerato che il nuovo allestimento saltato (ambientato nella Primavera di Praga, con veri carrarmati in scena) non prometteva nulla di buono, ci si può ben contentare di questo, che oltretutto ha riscosso l’apprezzamento del pubblico, anche grazie ai bellissimi e coloratissimi costumi di Maurizio Galante e alle luci di Fiammetta Baldiserri; e poi non è che manchi l’idea registica di fondo, anche se il suo sviluppo sarebbe perfettibile: i personaggi sono tutti morti, con una comparsa vestita da Kierkegaard che li svela uno a uno, riportandoli a rivivere o a raccontare le loro vicende, alla fine dell’Ouverture (durante la quale scorrono sullo sfondo frasi tratte dal saggio sul Don Giovanni del filosofo in traduzione arcaica); durante il sestetto finale moraleggiante, a protagonista ormai divorato dall’inferno (“Questo è il fin di chi fa mal! / E de’ perfidi la morte / alla vita è sempre ugual!“) tutti si siedono di nuovo nel cimitero monumentale (ispirato a quello di Staglieno) che, con poche variazioni, fa da scena e si ricoprono col velo, mentre Don Giovanni sullo sfondo scosta il suo e alza il calice; un coup de théâtre che non fa che esplicitare i dubbi che il lieto fine del presunto “dramma giocoso” (in realtà un’opera che fonde alla perfezione il comico, con uno spiritosissimo libretto di gran valore letterario, al tragico, evidenziato dalla scrittura delle sublimi arie da opera seria dei personaggi teoricamente positivi, ma che alla fine rimangono meno simpatici dell’impenitente libertino e del suo degno servo) lascia nell’ascoltatore.

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