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Matteo Messina Denaro: sarà seppellito senza funerale. E dopo l’autopsia

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L’arresto di Matteo Messina Denaro da parte dei carabinieri del Ros (Foto d’archivio)

L’AQUILA – Non ci sarà nessun funerale religioso, per Matteo Messina Denaro, morto intorno alle 2 della notte di lunedì 25 settembre nella cella dell’ospedale dell’Aquila, dov’era ricoverato per un tumore al colon all’ultimo stadio. Dovranno invece fargli l’autopsia, fissata già nella mattinata di martedì 26 settembre.

La famiglia ha deciso di non nominare un proprio consulente. L’esame, dunque, si svolgerà alla presenza dell’esperto nominato dalla Procura abruzzese, un medico di Chieti, che, in accordo con i pm di Palermo, sta gestendo le fasi successive al decesso del boss. Successivamente, la salma sarà restituita ai parenti del boss e riportata nel paese d’origine della famiglia, Castelvetrano, per la sepoltura.

Di certo non ci sarà un funerale religioso – la chiesa li vieta ai mafiosi e il boss, comunque, aveva espressamente lasciato scritto di non volerlo – e di certo Messina Denaro non sarà cremato come accadde, invece, per il capomafia Bernardo Provenzano. Molto probabilmente il feretro verrà portato nel cimitero di Castelvetrano, in forma strettamente privata, per l’inumazione.

Si conclude così la storia dell’ultimo capomafia stragista di Cosa nostra, arrestato dopo 30 anni di latitanza: Il cancro al colon, scopertogli durante la latitanza, quando si faceva chiamare Andrea Bonafede, usando l’identità di un prestanome, non gli ha dato scampo.

La chemioterapia fatta nella clinica palermitana in cui è stato arrestato e poi, dopo la cattura, nell’ospedale Sa Giovanni de L’Aquila, e i quattro interventi chirurgici subiti non sono serviti a concedergli più tempo.

Sospese le cure, troppo invasive viste le condizioni del paziente, Messina Denaro è stato sottoposto solo alla terapia del dolore e poi sedato. Prima di perdere la lucidità ha lasciato scritto di non volere l’accanimento terapeutico: dopo la dichiarazione di coma irreversibile, dunque, i medici hanno smesso di alimentarlo.

La morte è arrivata, come detto, di notte. Al capezzale del boss c’erano la nipote Lorenza Guttadauro, che era anche il suo difensore e tutore legale, la sorella Giovanna e la figlia Lorenza, avuta durante la latitanza e riconosciuta solo pochi giorni prima di morire. Un rapporto difficile quello tra il boss e la ragazza. Solo dopo l’arresto del capomafia i due si sono riavvicinati e parlati. E solo pochi giorni fa il boss ha dato alla figlia il suo cognome.

A L’Aquila non c’erano invece la madre del padrino, malata e invalida ormai da anni, la sorella Bice e le altre due sorelle: Rosalia e Patrizia, entrambe in carcere per mafia. Proprio mettendo una microspia nella gamba di una sedia in casa di Rosalia, i carabinieri del Ros, a dicembre, trovarono il diario clinico del capomafia.

Una scoperta fondamentale per la cattura: gli investigatori scoprirono che il boss era malato di cancro e attraverso una complessa indagine risalirono al suo alias e alla clinica de La Maddalena di Palermo, dove si sottoponeva alla chemioterapia.

“Se non fossi stato malato non mi avreste preso”, ha detto il boss ai magistrati che erano andati a interrogarlo. E ancora con sfida: “Io non mi farò mai pentito”. Il cancro lo ha costretto ad abbassare la guardia, ad esporsi, a cambiare forzatamente abitudini e luoghi dopo 30 anni di vita alla macchia.

A differenza di quanto accadde al padre: don Ciccio. Una telefonata anonima avvertì la polizia che c’era un corpo nelle campagne di Castelvetrano. Era il padrino latitante, morto di infarto e vestito di tutto punto per il funerale. Matteo Messina Denaro, invece, se n’è andato malato e in carcere. Il sindaco del suo comune ha avuto parole di sollievo, come una liberazione. Ma ha ammesso che ci vorrà tempo prima di arrivare a quella normalità che la mafia ha sempre impedito.

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