Riforma del fisco, Meloni: “Tasse non belle, ma niente regali ai furbi”
ROMA – Giorgia Meloni si prende una mattinata, quella del 13 marzo 2024, prima di partire per Firenze per frimare il patto di sviluppo e coesione con la Regione Toscana, per riconoscere l’onore delle armi al suo viceministro dell’economia, Maurizio Leo, che come dice anche il ministro Giancarlo Giorgetti, ha portato avanti “a tempi di record” quella riforma verso il “fisco amico” che l’Italia “aspettava da 50 anni”.
Parterre delle grandi occasioni, in cui spunta anche l’ad di Poste, Matteo Del Fante, entrato nel calderone delle ipotesi per il giro di nomine primaverili delle partecipate pubbliche. Ci sono Gianni Letta e Giulio Tremonti, tornano alla Camera Gianfranco Fini e l’ex ministra Paola Severino. E poi la prima linea della Guardia di Finanza, il direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini, il resto del Mef e un paio di capigruppo di maggioranza (niente opposizioni, a eccezione di Luigi Marattin).
L’occasione è un po’ tecnica, in realtà, perché si tratta di presentare il prossimo passo per l’attuazione della delega fiscale, la messa in consultazione di qui al 13 maggio di 9 testi unici che avranno il compito di riordinare, semplificare, sfoltire le duplicazioni e rendere più facilmente fruibile l’enorme mole di norme tributarie che si sono stratificate negli anni. Un pallino di Ruffini che con l’Agenzia intanto ha riorganizzato per “settori omogenei” le norme che poi saranno oggetto, per due mesi, delle osservazioni e delle proposte di modifica di accademici, professionisti e contribuenti.
C’è tutto, dalle imposte sui redditi all’Iva fino alle sanzioni e alle agevolazioni tributarie. Il buon proposito, ha spiegato Leo, è di arrivare all’approvazione definitiva entro l’estate (considerando che dopo il primo ok del Cdm servirà il passaggio parlamentare). Un lavoro di razionalizzazione a costo zero, mentre per le parti della delega che ha bisogno di risorse servirà ancora tempo.
Anche se l’obiettivo da centrare con la prossima manovra (su cui già incombono 15 miliardi da trovare per confermare taglio del cuneo e dell’Irpef per i redditi bassi), è quello di dare una mano al ceto medio, perché, ha ribadito il viceministro di Fdi, “chi guadagna 55mila euro non può essere considerato un super ricco” ma oggi “paga oltre il 50% di tasse”.
Parte delle risorse necessarie potrebbe arrivare da quella minimum global tax al 15% che l’Italia ha introdotto ma che potrebbe essere depotenziata se, come ha paventato Giorgetti, dovesse “naufragare” l’altra parte del progetto internazionale per tassare le multinazionali, quella che prevede la riallocazione dei diritti di tassazione nei Paesi dove si generano profitti (gli Usa, tra gli altri, frenano).
Peraltro, ha ricordato il ministro, se una volta la base imponibile era “il sale”, oggi sono invece “i dati” e questo “è il traguardo ulteriore che affido a Maurizio (Leo)”. Di trovare una soluzione per tassare in modo adeguato “le nuove forme di ricchezza”. Nel frattempo si proseguirà sul tracciato della delega che dà “risposte coraggiose e strutturali”, sottolinea Meloni.
“Non penso e non dirò mai che le tasse sono bellissime” (la famosa e tanto criticata frase di Tommaso Padoa-Schioppa all’epoca ministro dell’Economia), aggiunge, attirandosi le critiche di Elly Schlein (“la sanità pubblica, la scuola pubblica è bellissima” ma oggetto di “orrendi tagli”). Ma, ribadisce la premier respingendo le accuse di “condoni”, il messaggio “che vogliamo dare è semplice, non c’è spazio per chi vuole fare il furbo ma chi è onesto ed è in difficoltà merita di essere aiutato”.
Nel cammino verso il “fisco amico” il governo, rivendica la presidente del Consiglio, sta anche “lavorando per allineare” alla Ue sanzioni che erano “sproporzionate, illogiche e vessatorie. E anche abbastanza inutili”.