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Omicidio Saman, i giudici: “Non si esclude che ad ucciderla sia stata la madre”

Saman Abbas

REGGIO EMILIA – La Corte di assise di Reggio Emilia ha depositato 600 pagine di sentenza sul lungo e e complesso processo per la morte di Saman Abbas, 18enne pachistana uccisa tra il 30 aprile e il primo maggio 2021, ritrovata in una fossa un anno e mezzo dopo e dal 26 marzo sepolta nel cimitero di Novellara.

“La circostanza che Shaheen Nazia (la madre ndr) scompaia dalla vista delle telecamere per un minuto, con Saman ancora in vita, non consente di escludere con certezza che anche lei abbia fattivamente partecipato all’azione omicidiaria, tenendo ferma la figlia mentre Hasnain Danish (lo zio ndr) le afferrava il collo, o che sia stata direttamente, anche da sola, a servare la condotta materiale con cui si è determinata l’asfissia meccanica da strozzamento o da strangolamento che ha condotto alla morte di Saman Abbas”.

È quanto si legge nelle 612 pagine di motivazioni della sentenza per la morte della 18enne. Secondo i giudici dunque non è escluso che a ucciderla sia stata proprio la donna. La donna e il marito sono stati condannati all’ergastolo, Nazia è ancora latitante. La sentenza non risparmia critiche alla ricostruzione accusatoria, ai media che avrebbero enfatizzato e distorto la vicenda, e demolisce personaggi significativi per gli inquirenti come il fratello della ragazza o il suo fidanzato.

“La vita di Saman – scrive la Corte – “non è stata solo spezzata ingiustamente e troppo presto, ma vissuta attorniata da affetti falsi e manipolatori, in una solitudine che lascia attoniti”. Al fratello, minorenne all’epoca dei fatti, sono dedicati lunghi passaggi. Da testimone cruciale, accusatore dei propri familiari (aveva detto di aver visto lo zio e i cugini quella sera), il giovane diventa un bugiardo, inattendibile, inaffidabile, con sospetti ribaditi di un suo coinvolgimento diretto. “Nessun riscontro, neppure parziale” è stato trovato alle sue dichiarazioni, osservano i giudici.

“Tacendo – sottolinea la Corte – della impressionante serie di non ricordo, oltre 120, con cui si è risposto a larghissima parte dei chiarimenti richiesti dai difensori degli imputati da lui accusati”. Nessuna prova neppure della riunione, da lui riferita, in cui i familiari si sarebbero trovati, giorni prima, per discutere di come uccidere la ragazza. Né dimostra nulla il video del 29 aprile, dove vengono ripresi zio e cugini con le pale.

Tutto, per la Corte, è più semplice: “Tutto accade e si decide in occasione della perdurante relazione di Saman con Saqib e dell’intenzione della ragazza di andar via di casa”. Anche perché, spiega la sentenza, dal rientro di Saman il 20 aprile “l’unica occasione in cui si è registrato un contrasto tra la ragazza e i genitori è quella della sera del 30”. Fu lì che si scoprì e si parlò della relazione col fidanzato e dell’idea di fuggire di nuovo. Fu lì che ci fu una “sequela incalzante e compulsiva di chiamate tra i due imputati”, Shabbar e Danish, dopo le 23, “anomale per numero, ripetitività e orario”, che “si spiega e si giustifica proprio e soltanto in considerazione della natura non premeditata dell’omicidio”.

Forse lo zio scavò la buca poco prima e i genitori la accompagnarono a morire. Non è chiaro chi fece cosa: “Non ci sono elementi per dire che lo zio da solo abbia eseguito l’azione”. Nazia potrebbe averla tenuta ferma, oppure potrebbe essere stata lei direttamente a strangolare Saman. L’unica certezza è che furono tutti e tre coinvolti “nella concatenazione di eventi che ha condotto all’uccisione”.

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Gilda Giusti

Redazione Firenze Post

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