Inchiesta sulle alluvioni: i piani di protezione civile non sono aggiornati. E manca l’informazione ai cittadini

Basta un treno in ritardo, nell’Italia di oggi, per far saltare un’audizione della commissione parlamentare d’inchiesta sulle alluvioni, disastrose per vite umane e danni materiali, che si sono succedute in Toscana dal 2023 in poi. La vicesindaca di Firenze, Paola Galgani, delegata da Sara Funaro, è arrivata tardi, ossia fuori tempo massimo per il presidente, Pino Bicchielli (Forza Italia). A nulla è valso che la Galgani sia rimasta nelle sale della Prefettura, nel maestoso Palazzo Medici Riccardi, fino alla conferenza stampa dei commissari. Bicchielli mortificato: “Tempi contingentati. Non potevamo aspettare. Sentiremo la vicesindaca, o la stessa sindaca Funaro, direttamente alla Camera”.
Bene. Anzi, male: un banale ritardo ferroviario manda in tilt l’audizione di una commissione d’inchiesta. Il granello di sabbia capace d’inceppare il macchinario. La burocrazia che s’impone. Proprio nel momento in cui s’invoca la “sburocratizzazione”. Ma questo è un dettaglio. Al quale si aggiunge l’eterna rissa politica, capace secondo me di indignare i cittadini e allontanarli dalle urne (vedi il 53% di elettori che hanno disertato in Toscana).
Una rissa, in questo caso, che vede la maggioranza di governo accusare il rieletto presidente della Regione, Eugenio Giani, di non aver speso oltre 800 milioni che sarebbero arrivati da Roma negli ultimi 8-10 anni proprio per essere impiegati contro frane e alluvioni. L’opposizione a Roma, che è maggioranza in Toscana, nega. E ributta la palla, parlando di “Regione virtuosa e attenta, addirittura capace di risparmiare nell’uso del suolo”.
Su un punto, però, pare ci sia condivisione, come ha sottolineato anche il presidente “cronometrista” (nel senso che vuole il rispetto dei tempi al minuto) della commissione, Bicchielli: la mancanza di aggiornamento dei piani di protezione civile. Ossia di quegli strumenti che dovrebbero fa sapere ai cittadini come comportarsi in caso di allerta rosso per rischio alluvione. A Firenze, negli anni Ottanta, ce n’era uno, assai ben fatto, scritto da Paolo Padoin, allora capo di gabinetto del prefetto Giovanni Mannoni. Era diviso per zone: si indicava dove lasciare le automobili in caso di allarme, si suggeriva di salire dai vicini dei piani alti. E di tenere in casa pile per le torce elettriche, candele, batterie per le ricariche. E provviste non deteriorabili fuori dal frigo.
Oggi i piani di protezione civile sono una sorta di amuleti: si fanno quasi per scaramanzia. Nella maggior parte dei casi non sono aggiornati. Lasciati nei file. O addirittura nei cassetti. I cittadini non li conoscono. Soprattutto non sanno se i corsi d’acqua generalmente quasi asciutti (vedi torrente Marina a Campi) possono sprigionare valanghe d’acqua distruttive. E questo aggiungerebbe un altro aspetto sul quale si potrebbe scrivere a lungo: i permessi per costruire sui terreni dov’è arrivata l’onda devastante.
I piani di protezione civile, in una regione come la Toscana (da 800 anni minacciata dalle piene dell’Arno), dovrebbero essere sempre aggiornati. E fatti conoscere. Negli anni Ottante, il citato Padoin li fece pubblicare sulle “Pagine gialle” dell’elenco del telefono. Oggi non vengono nemmeno messi sui siti dei comuni.
E allora ecco l’altro punto debole: l’informazione. Durante la conferenza stampa di oggi, in Prefettura, non solo come presidente dell’Associazione Stampa Toscana, ma anche come giornalista con oltre 55 anni di professione alle spalle, mi sono permesso di suggerire al presidente Bicchielli di dedicare un capitolo della relazione finale della commissione alla “carenza d’informazione”.
Non è sufficiente l’allerta (gialla, arancione o addirittura rossa) perchè gli amministratori si sentano la coscienza a posto. Le notizie vanno dettagliate. I giornalisti lo sanno fare. I social confondono le idee. Da qui la raccomandazione: i comuni abbiano la lungimiranza di dotarsi di un ufficio stampa. I più piccoli possono consorziarsi: come fanno per la polizia municipale o la raccolta dei rifiuti. Assumere un giornalista, da parte di più amministrazioni, è meno complicato.
Infine torno sul punto delicato, che è un mio tormentone da quasi sessant’anni: realizzare finalmente le opere per mettere al riparo due terzi della Toscana dall’Arno. L’Autorità di bacino, guidata da Gaia Checcucci, sa cosa si deve fare. La cassa d’espansione appena inaugurata nel Valdarno è un piccolissimo passo avanti (può fermare 3 milioni e quattrocentomila metri cubi d’acqua in confronto ai 150 milioni di metri cubi che si riversarono su Firenze il 4 novembre 1966).
Servono le altre casse d’espansione valdarnesi e tutte le opere previste dal piano di bacino. Non hanno senso i “muraglioni” annunciati nel cuore di Firenze. Obbrobri inutili (l’Arno si ferma a monte, non in città) e deturpanti come il “cubo nero”. Mi auguro che anche la Soprintendenza intervenga. Magari in ritardo, ma prima che il nuovo danno sia compiuto.
