Ucraina: Ue presta 90 miliardi a Kiev. Salta l’uso degli asset russi. Meloni: “Scelta responsabile”

BRUXELLES – L’Ucraina potrà resistere all’aggressione russa grazie ad un prestito da 90 miliardi di euro garantito dal margine del bilancio Ue. Ovvero, in pratica, eurobond. E’ quanto hanno deciso i 27 al Consiglio Europeo, al termine di trattative culminate a notte fonda. L’ipotesi dell’uso dei beni immobilizzati russi, dopo essere stata sbandierata come l’unica possibile sino alla vigilia del vertice, si è invece schiantata contro irremovibilità del Belgio, che ha chiesto garanzie “illimitate” per proteggersi dalle possibili ripercussioni. Secondo Giorgia Meloni, si tratta di “una scelta responsabile”.
Ed è una Caporetto politica che avrà degli strascichi tutti da capire, specialmente nella partita sul prossimo bilancio comunitario. Volodymyr Zelensky, pur avendo espresso una preferenza per la proposta della Commissione sugli asset, si è detto soddisfatto. “Sono grato a tutti i leader dell’Unione Europea: si tratta di un sostegno significativo che rafforza davvero la nostra resilienza”.
“È importante – ha proseguito – che i beni russi rimangano immobilizzati e che l’Ucraina abbia ricevuto una garanzia di sicurezza finanziaria per i prossimi anni”. In effetti i 210 miliardi di beni sovrani russi – 185 dei quali solo nella belga Euroclear – ora resteranno congelati sine die e potranno essere sbloccati solo con un voto a maggioranza qualificata. A ben vedere, è la vera mossa geopolitica dell’Ue – decisa però già la settimana passata – con buona pace sia di Vladimir Putin che di Donald Trump. Nelle conclusioni del vertice è poi spuntato un link tra gli asset e il prestito da 90 miliardi, che “sarà rimborsato dall’Ucraina solo una volta ricevute le riparazioni” di guerra da Mosca.
“L’Ue si riserva il diritto di utilizzarli per rimborsare il prestito, nel pieno rispetto del diritto dell’Ue e del diritto internazionale”. Ma è una foglia di fico, per giustificare in qualche modo l’immensa quantità di capitale politico bruciato nel tentativo di vedere approvata la proposta, largamente caldeggiata in particolare dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e dal cancelliere tedesco, Friedrich Merz. Non a caso a Mosca gongolano.
Kirill Dmitriev, capo del Fondo russo per gli investimenti diretti e rappresentante speciale del Cremlino, ha subito dichiarato che dovrebbero “dimettersi”. Al di là delle lezioncine di coerenza provenienti da chi prospera in un regime dove la legittimità emana dai buoni rapporti con lo zar, è chiaro che qualcosa non ha funzionato. O meglio, c’è chi non ha saputo leggere i segnali.
Il premier belga Bart De Wever ha scritto a tutti i leader spiegando per filo e per segno quali erano le sue preoccupazioni. E solo nel corso del vertice il tavolo tecnico Belgio-Commissione è riuscito a produrre un testo pienamente concordato . “Quando i leader hanno visto il risultato sono rimasti sotto shock”, racconta una fonte europea.
Non solo la richiesta delle garanzie illimitate, sempre insoluta, è stata giudicata irricevibile da 26 capitali su 27, pure molte altre clausole si sono rivelate insormontabili. “Il diavolo sta nei dettagli: una bella idea si è rivelata a quel punto terribile”, aggiunge un alto funzionario. Quando allora diventa chiaro che la proposta sugli asset è di fatto morta, Antonio Costa rispolvera l’opzione del debito comune, sino a quel punto silurata dal veto di Viktor Orban (e mai amata dai frugali, Berlino in testa).
Il magiaro, con un apparente colpo di teatro, dà però il via libera agli altri in cambio di un opt-out (previsto dai Trattati, la cooperazione rafforzata). Caso chiuso. Credere però che Orban si sia improvvisamente convertito alla causa ucraina è da ingenui (il lavoro dietro le quinte di Giorgia Meloni è ad esempio innegabile). De Wever s’intesta pubblicamente il merito.
“Se sai fare il tuo lavoro, e parli con le persone, si può arrivare ad un accordo: mi sono preparato, ho parlato con molte persone ma non svelo i segreti del mestiere”, ha dichiarato ai giornalisti nella notte bollando poi il risultato come “una vittoria dell’Europa e della stabilità finanziaria”. Non a caso un portavoce di Euroclear ha accolto “con favore” la decisione dei leader. “La realtà è che dietro al Belgio si sono nascosti molti altri Paesi”, analizza una fonte. Non averlo saputo (o voluto) capire è stato l’errore fatale.
