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Rava: «Suonare alla Pergola sarà un’emozione»

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FIRENZE – Un «dio» omaggiato in un tempio. La musica di John Coltrane al Teatro della Pergola di Firenze. Sono pressoché esauriti i biglietti per il concerto «Living Coltrane» in programma nello storico teatro fiorentino stasera, sabato 16 febbraio alle 21. L’idea di celebrare il sassofonista statunitense scomparso prematuramente nel 1967, è del maremmano Stefano «Cocco» Cantini, che nell’impresa si farà aiutare di un trio di fidatissimi amici (Ares Tavolazzi al basso, Piero Borri alla batteria e Francesco Maccianti al pianoforte), più uno special guest di lusso: Enrica Rava. Il quale ammette, con candore tutto friulano, di non aver mai varcato la soglia del celebre teatro costruito nel 1656.

Rava, che sapore ha questo ricordo di Coltrane, e per di più alla Pergola?

Di omaggi al grande artista se ne fanno da sempre. Ma io devo ammettere di non conoscere la Pergola. Non ci asono mai entrato, eppure ho suonato tante volte a Firenze. Sono certo che sarà un’emozione. Anche perché Coltrane è uno dei miei musicisti preferiti. Diciamo pure che amo la sua musica, come quella di pochi altri.

Il suo ruolo insieme al quartetto messo insieme da Stefano “Cocco” Cantini?

Innanzi tutto suonare la tromba. In effetti io non ho legami particolari con la musica di Coltrane, essendo lui sassofonista. Io ho più elementi in comune con Mils Davis. Ma Coltrane l’ho ammirato tanto. Avevo 23 o 24 anni quando lo andai a vedere per la prima volta a Milano, insieme a Gato Barbieri, che lo imitava moltissimo. Poi l’ho rivisto tante volte a New York. Ma le ultime non stava tanto bene.

Parliamo d’altro. Recentemente, insieme ad altri jazzisti come Bollani e Fresu, ha firmato un appello affinché una parte del Fondo Unico dello Spettacolo sia destinato anche al jazz, magari riducendo quella per la lirica…

Io amo la lirica e so i costi che questa comporta. La Scala di Milano è un tesoro ma non è possibile che tutti i soldi finiscano lì. Fino a qualche anno fa una piccola parte del Fus arrivava anche al jazz poi con i tagli anche quel poco è sparito. E a pagarne le conseguenze sono stati festival e rassegne, cancellati di netto. Affermare che la Cultura non dà pane è una cazzata, perché invece muove un sacco di soldi e dà da mangiare a tanta gente. Compreso il jazz, da sempre considerato il brutto anatroccolo dello spettacolo. Non so davvero come si faccia ad affermare simili stupidaggini, ed ecco allora l’appello, anche se sono certo che servirà a niente, a meno che qualche politico eletto alle prossime elezioni non mostri un po’ più di sensibilità. Ma temo che ciò non avverrà perché per ora nessuno ne parla.


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Marco Ferri


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