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Marini impallinato

Sembrava proprio che i tre schieramenti che potevano garantire una tranquilla maggioranza per eleggere il Capo dello Stato avessero trovato l’accordo sul nome di Franco Marini, personaggio non di eccezionale livello, ma ritenuto affidabile dai principali partiti di sinistra, centro e destra.

Una volta di più partiti e movimenti non sono riusciti a mantenere una posizione unitaria per eleggere subito una personalità super partes che gestisse il prossimo, delicato settennato. I primi due scrutini hanno dato fumata nera. Franco Marini è stato impallinato, come vuole una lunga tradizione, sulla via del Quirinale. Il candidato del Pd ha ottenuto solo 521 voti contro i 673 necessari all’elezione al primo turno, e quando nel pomeriggio si è ripetuta la votazione i partiti che lo sostenevano hanno deciso di votare scheda bianca, nell’attesa di rimediare all’impasse.

Il Pd ha dichiarato di non volerlo bruciare per il futuro immediato, ma tutti hanno capito che le cose non stavano esattamente così quando il segretario Pier Luigi Bersani ha ammesso: «Bisogna prendere atto di una fase nuova». Lo ha affermato a malincuore, Bersani, perché la sconfitta di Marini è il fallimento del progetto di un’intesa con il Pdl da trasferire, forse, anche al governo.

La nuova proposta del Pd sarà decisa nell’assemblea dei grandi elettori, secondo il metodo che è croce e delizia di un partito profondamente diviso al suo interno: le primarie. Serviranno a scegliere chi votare, magari con qualche speranza di vittoria finale a partire dalla quarta votazione, quando non ci sarà più bisogno di una maggioranza qualificata. Renzi, contrario fin dall’inizio alla designazione di Marini, è arrivato anche lui a Roma, annunciando la presentazione di una candidatura che dovrebbe sbloccare la situazione.

Nel frattempo le prime due votazioni, oltre a nomi di scherzo e di scherno come Rocco Siffredi, il conte Mascetti (quello di Amici miei e della supercazzola; mai citazione fu più adeguata alla situazione), hanno evidenziato un consenso superiore al previsto a favore di Rodotà, sostenuto fin dall’inizio dai grillini, e di Chiamparino, ex sindaco di Torino, sostenuto non soltanto dai renziani, ma anche da altri esponenti del centro o della sinistra che, nel segreto dell’urna, hanno “disobbedito” alle indicazioni di partito. Ho conosciuto molto bene Sergio Chiamparino, ottimo sindaco di Torino, persona equilibrata e di buon senso, che è stato uno tra i primi a contestare la linea dei dirigenti nazionali del Pd, una sorta di rottamatore ante litteram. Ma, con tutta la stima e l’affetto e nel ricordo di un’eccellente collaborazione istituzionale quando ero prefetto di Torino, non credo che sul suo nome si possa concentrare un consenso generalizzato.

La lista da cui trarre il nome dovrebbe proporla ancora il segretario Pd, seppur diversa da quella presentata a Berlusconi nei giorni scorsi. Ci saranno probabilmente Amato, D’Alema e forse anche Chiamparino. Verosimilmente il nome su cui puntare sarà poi quello di Romano Prodi, appoggiato da renziani, grillini e Sel. I principali commentatori hanno osservato che Prodi finora è stato considerato, in prospettiva Quirinale, un uomo che crea divisioni piuttosto che unità. La sua possibile candidatura potrebbe anche costituire il segno di un cambiamento sostanziale di maggioranza all’interno del Pd, e di un possibile spostamento a sinistra del baricentro del partito, sancendo così la definitiva sconfitta politica di Bersani.

Non resta che attendere gli eventi e sperare che, nonostante tutto, in un momento così grave, si pensi più al bene del Paese che ai meschini interessi di bottega.

Quirinale


Paolo Padoin

Già Prefetto di Firenze Mail

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