Le tasse impoveriscono, parola di Giuseppe Verdi
Sta circolando nuovamente sul web in questi giorni una lettera di Giuseppe Verdi, conosciuta soprattutto da storici e appassionati, e più volte ripresa dalla stampa nel corso degli anni. La rilancia oggi la giornalista Laura Lodigiani annotando: «Pare scritta oggi».
Era il 16 giugno 1867. Centoquarantasei anni fa. Il musicista, eletto deputato nel primo parlamento del Regno d’Italia, teneva una fitta corrispondenza con il collega parlamentare e giornalista mantovano Opprandino Arrivabene. In quella lettera Verdi scrive:
«Cosa fanno i nostri uomini di Stato? Coglionerie sopra coglionerie! Ci vuol altro che mettere delle imposte sul sale e sul macinato e rendere ancora più misera la condizione dei poveri. Quando i contadini non potranno più lavorare e i padroni dei fondi non potranno, per troppe imposte, far più lavorare, allora moriremo tutti di fame. Cosa singolare! Quando l’Italia era divisa in tanti piccoli Stati, le finanze di tutti erano fiorenti! Ora che tutti siamo uniti, siamo rovinati. Ma dove sono le ricchezze d’una volta? Addio, addio».Una testimonianza ancora viva a 150 anni dall’unità d’Italia, da girare ai politici di oggi. Soprattutto a coloro che tentano di far quadrare il bilancio pubblico, e a quanti tengono aperto il dibattito se i processi unitari (ieri l’Italia, oggi l’Europa) arricchiscono o impoveriscono. Una cosa è certa: i ricchi restano ricchi e i poveri aumentano.