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La «Venus à la fourrure» è il titolo originale francese

«Venere in pelliccia» l’ultimo film di Roman Polanski

La «Venus à la fourrure» è il titolo originale francese
La «Venus à la fourrure» è il titolo originale francese

Uscirà in Italia il 14 novembre con il titolo «Venere in pelliccia». È l’ultimo film di Roman Polanski, presentato in anteprima a Firenze nell’ambito di «France Odeon», nella versione originale sottotitolata «La Venus à la fourrure» (Francia-Polonia 2013, con Emmanuelle Seigner e Mathieu Amalric, 95’) già in concorso a Cannes e che uscirà nelle sale cinematografiche in Francia il 13 novembre.

Derivato dalla pièce «Venus in Fur» di David Ives, a sua volta adattamento del romanzo di Leopold von Sacher-Masoch, più famoso che letto (da lì ha origine il termine «masochismo»), è un film divertente, ironico e per nulla volgare, recitato in modo eccellente da due soli attori.

Il legame con l’opera teatrale di David Ives, che ha collaborato attivamente alla sceneggiatura, è evidente fin dall’inizio. Con un camera-car in piano sequenza si viene portati, mentre infuria un temporale, da un viale alberato fin dentro uno scalcinato «Théâtre», dalla cui insegna è caduta la «h» e sul cui palcoscenico si trovano ancora le scene di un musical fallito, ispirato a «Ombre rosse». Apparentemente queste stridono con quanto vi si deve andare a rappresentare in seguito, ma includono fra il ciarpame anche un enorme cactus vagamente fallico.

Dal teatrino non si esce più per il resto del film, le cui prime battute sono affidate a Thomas, adattatore per il teatro della «Venere in pelliccia» di von Sacher-Masoch; assuntosi anche il ruolo di regista, racconta per telefono alla fidanzata della disastrosa giornata di audizioni, cui si sono presentate solo attricette insulse e ignorantissime, capaci di esprimersi solo in argot giovanile standardizzato e del tutto inadatte al ruolo di Vanda.

Lo interrompe l’irruzione, dal fondo della platea, di una sedicente candidata in ritardo (in realtà assente dalla lista), che a prima vista rientra esattamente nella tipologia appena esecrata e, fra asserzioni bislacche e risposte sgangherate, gli dà l’idea di essere perfettamente idiota. Pur atteso a cena dalla fidanzata, Thomas, non propriamente dotato d’un carattere d’acciaio, si lascia convincere-costringere a farle un provino.

Qui il primo coup de théâtre: l’aspirante Vanda, che dichiara di chiamarsi esattamente così nella vita, ha portato dei costumi perfetti (la giacca da camera per lui è stata addirittura fatta a Vienna nel 1869), conosce a memoria l’intero copione, di cui è misteriosamente in possesso, e dopo poche battute rivela un’aderenza al personaggio vagamente inquietante. Thomas si lascia risucchiare nella recitazione, impersonando, su proposta-imposizione di Vanda, il protagonista maschile.

Ha così inizio un sottile e ambiguo gioco a due, in cui Vanda-Afrodite (che conosce a menadito anche Le Baccanti di Euripide) si fa sempre più sarcastica su quanto il testo rappresenta, su come lo legge il suo adattatore-regista e su come questi viva le sue relazioni reali con l’altro sesso. Il tutto senza mai smarrire il fil rouge della commedia brillante dalle battute velocissime.

In molti hanno rilevato le autocitazioni da film come «Carnage» e «Luna di fiele», ma c’è qualcosa anche della verve di «Per favore, non mordermi sul collo», naturalmente con la differenza che stavolta Polanski non si è limitato all’allegra parodia di un genere cinematografico.

Si ride, specie alle battute di Vanda, ma è un rire intelligent su temi complessi e profondi, in un film che mette a nudo ben più le anime dei corpi e, come la commedia di Ives sua fonte diretta, è un’articolata parodia della guerra fra i sessi e dell’esercizio del potere, anche da parte del regista sulla primadonna.

Non ha ricevuto alcun premio a Cannes (forse più a causa delle scabrose vicende giudiziarie di Polanski negli Stati Uniti, che per insufficienza di meriti), ma l’oretta e mezzo necessaria per la sua visione non pare tempo sprecato, specie se si reperisce, in qualche cinema d’essai, la versione originale sottotitolata: c’è infatti da temere che nell’edizione italiana si perda qualcosa, a livello di dialoghi e di recitazione.

 

 

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