Pensioni, i conti sono in ordine: basta speculare sui vecchi
Facciamo chiarezza, una volta per tutte: il sistema pensionistico, in Italia, regge bene. Non c’è il rischio che salti o che appesantisca i conti pubblici, come alcuni politici un po’ sventati vorrebbero far credere. E sarebbe dunque l’ora di non fare più chiacchiere sulla pelle dei pensionati: che hanno versato i contributi e pagato tasse alte.
Ma andiamo a vedere la situazione nel dettaglio. In tutti i paesi europei, tranne l’Irlanda, la voce di spesa più importante è la previdenza (15,1% nell’EU a 16); questa voce in Italia è pari al 18,8%, in Francia al 16,5% e in Germania al 13,6%. D’altra parte, mentre solo un terzo dei paesi membri ha ricevuto dalla Commissione raccomandazioni correttive delle loro politiche di contrasto alla povertà, quasi tutti le hanno subite perché i loro sistemi pensionistici avrebbero problemi di sostenibilità finanziaria; ma non l’Italia ilcui assetto previdenziale è diventato particolarmente virtuoso, ma a scapito della copertura pensionistica.
Queste cose non le sostengo io in prima persona, ma sonoaffermazioni di Felice Roberto Pizzuti, docente di politica economica all’Università di Roma, che è stato ascoltato dalla commissione parlamentare di controllo degli enti previdenziali.
SPESA– Da tempo non esiste più un’anomalia della spesa pensionistica italiana. In ogni caso, già nel 1996, e poi ininterrottamente dal 1998, – afferma Pizzuti – il saldo tra le entrate contributive e le spese pensionistiche previdenziali al netto delle ritenute fiscali è diventato positivo.L’ultimo dato, del 2011, è di ben 24 miliardi di euro. «Negli ultimi decenni – ha spiegato Pizzuti – l’obiettivo di fondo macroeconomico perseguito dalle politiche previdenziali è stato quello di contenere il rapporto tra la spesa previdenziale e il Pil. Obiettivo effettivamente giustificato dalla necessità di recuperare il controllo della spesa che era stato perso prima degli anni ’90. Tuttavia – spiega – già le riforme del 1992 e del 1995 si erano dimostrate sufficienti a stabilizzare il rapporto tra la spesa pensionistica e il Pil»
PREVIDENZA– L’annotazione che il nostrodato previdenziale è superiore di 3,7 punti rispetto alla media europeaè tuttavia viziata da diverse disomogeneità presenti nelle statistiche. Ad esempio, l’Eurostat include nella spesa pensionistica italiana i trattamenti di fine rapporto (pari all’1,7% del PIL) che non sono prestazioni pensionistiche. Inoltre, mentre in Italia le aliquote fiscali sono le stesse che si applicano ai redditi da lavoro – per un ammontare trattenuto pari a circa il 2,5% del Pil – in altri paesi spesso sono inferiori e in Germania sono addirittura nulle cosicché i confronti operati al lordo sovrastimano i nostri trasferimenti pensionistici che, in realtà, non sono affatto anomali.
BILANCIO– Dunque ilnostro sistema pensionistico pubblico non grava sul bilancio pubblico, ma – anzi – lomigliora in misura consistente(pari a sei volte le entrate IMU sulla prima casa). Il fatto è che i governi italiani degli ultimi decenni hanno deciso di utilizzare il sistema pensionistico come unosportello bancomat dove prelevare le risorseper seguire le indicazioni comunitarie delle politiche di rigore. A detta di Pizzuti queste scelte non solo sono controproducenti perché contribuiscono a deprimere ulteriormente la situazione economica – cioè la domanda, l’occupazione e la crescita – ma sono ancheparticolarmente iniqueperché colpiscono ulteriormente i redditi dei lavoratori nella loro fase di vita da pensionati. Matteo Renzi e i suoi ministri prendano atto di questo. E zittiscano quei parlamentari ignoranti (nel senso che ignorano) la realtà dei fatti. E dei conti.