UE, la guerra di poltrone è manna per gli euroscettici. Renzi batta un colpo
Dalle urne è venuto fuori un Parlamento europeo con qualche certezza e molti problemi. Soprattutto per quanto riguarda l’elezione del nuovo presidente della Commissione europea. Tra le certezze metterei la notazione che il cosiddetto “euroscetticismo” indubbiamente esiste, ma alla fine non ha drammaticamente sfondato.
I primi quattro gruppi parlamentari a livello europeo (popolari e democristiani, socialisti, liberaldemocratici, verdi) sono saldamente europeisti, e anche il quinto (conservatori) rappresenta posizioni critiche ma non disfattiste sull’Europa. D’altra parte stiamo parlando delle prime elezioni europee dopo la lunga crisi economica che da anni sta colpendo l’economia europea e mondiale, a valle di politiche nazionali ed europee di austerità e di rigore finanziario. Quelle precedenti del 2009 non risentivano della lunga persistenza della crisi, che in parte dell’Europa colpisce ancora. Che qualcuno non protesti contro le istituzioni europee mi sembrerebbe proprio strano. Viceversa, un’evidente problematicità risiede nel significato politico dei risultati elettorali. Se per il voto in Italia, e in particolare per il voto al PD, si sono evocate le elezioni italiane del 1958, per il voto europeo del 2014 potremmo rammentare il voto italiano del 1976, quando DC e PCI si confrontarono duramente (ricordate le famose elezioni del “sorpasso”?) ma alla fine, disse allora Aldo Moro, ci furono due vincitori: la DC (che era rimasta primo partito italiano, anche se per poco) e il PCI (che aveva raggiunto il suo massimo storico).
In Europa è successo qualcosa di simile oggi: potremmo dire che hanno vinto sia il Partito Popolare Europeo che il Partito Socialista Europeo. Il PPE è rimasto il primo partito, ma la sua vittoria è stata un po’ risicata, il PSE è molto vicino in termini di seggi (ne ha 191, contro i 214 del PPE). La vittoria del PPE non è stata tale da poter imporre facilmente in sede parlamentare il candidato alla presidenza della Commissione europea annunciato prima delle elezioni (il democristiano lussemburghese Juncker).
Questa problematicità legata ad un risultato fondamentalmente equilibrato tra le due maggiori famiglie politiche europee si va ad intersecare con gli interessi nazionali dei singoli Stati membri. E qui le cose si ingarbugliano. Il governo italiano si ripresenta a Bruxelles forte di un chiaro successo elettorale, ma il governo francese e il governo inglese hanno subito sonore sconfitte, e ciò peserà in sede di trattative per l’elezione del nuovo presidente della Commissione europea. Il governo tedesco avrebbe vinto comunque (a Berlino governa una grande coalizione tra democristiani e socialisti), ma i due partiti alleati a Berlino siedono a Bruxelles su sponde opposte, e anche questo peserà sulle imminenti trattative.
Il peso specifico italiano è accresciuto dalla vittoria del partito del presidente del Consiglio. Come verrà esercitato lo vedremo nelle prossime settimane. Sicuramente evocando l’Europa di Beppe Grillo, Marine Le Pen e Nigel Farage, il presidente del Consiglio italiano avrà argomenti per contribuire ad una svolta nella politica europea. Ma non sarà semplice. La fame di poltrone prevale troppo spesso su quello che è ritenuto il bene comune.